“Il dolore per mio fratello accusato di traffico di droga non lascia spazio alla pietà”: la lettera al Fatto.it della prof che a scuola insegna legalità

  • Postato il 12 luglio 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Ilfattoquotidiano.it, come altri giornali, ha pubblicato giovedì la cronaca di un’operazione che ha portato all’arresto di 21 persone per traffico internazionale di cocaina. Oggi riceviamo e pubblichiamo la lettera di Patrizia Starnone, sorella di una delle persone destinatarie di provvedimento di arresto, avvocata, insegnante di Diritto ed Economia politica all’Itis Galilei di Livorno, responsabile legalità nello stesso istituto, autrice di libri sulla ‘ndrangheta. Nel suo testo inviato alla redazione Starnone – a nome della sua famiglia – rende pubblica ed esplicita la condanna di tutte le mafie e di ogni tipo di illecito.

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“Quattordici persone in carcere, sette ai domiciliari, l’ennesimo colpo all’impero della droga messo in piedi dai clan di ‘ndrangheta, con Platì storica capitale. Ecco il risultato dell’ultima operazione della procura antimafia di Reggio Calabria, che ha individuato tre distinti gruppi criminali con base o referenti nel piccolo paesino della Locride, casa delle famiglie di ‘ndrangheta pioniere nel mondo del narcotraffico”. Ringrazio le forze dell’ordine, la Procura di Reggio Calabria per l’inarrestabile attività di indagine volta a contrastare il crimine organizzato in tutte le sue forme e finalità.

Chiaramente, alla luce della mia formazione giuridica e avendo esercitato la professione come avvocato penalista nel Reggino e nella Locride per diversi anni, pur riconoscendo il fondamentale principio della presunzione di innocenza riportata all’ articolo 27, comma 2 della Costituzione e nei trattati internazionali come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, prendo le distanze e ferma posizione, insieme alla mia famiglia, contro qualsiasi forma di attività illecita ascrivibile alla condotta di Starnone Federico nei capi di accusa, i quali devono essere chiaramente provati nel processo penale.

Dopo 25 anni, ieri mattina la mia famiglia ha dovuto subire nuovamente l’acuto e insostenibile dolore di vedere il nome di Federico Starnone pubblicato in prima pagina sui quotidiani, perché accusato di essere coinvolto in traffici illeciti di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Non esistono parole adeguate che possano esprimere il senso di impotenza, rabbia, delusione nella lettura di certe notizie. La tragica realtà ti piomba addosso come un macigno, che ora dopo ora, giorno dopo giorno diventa sempre più pesante. Diventa pesante come lo sguardo inquisitorio della gente che ti denuda e, mentre ti osserva, non sai cosa stia pensando di te, malgrado tu sia totalmente estraneo alle accuse mosse a un tuo fratello, figlio o padre che sia.

Per quanto si cerchi di alzare muri e trincee, per quanto si cerchi di chiudere a chiave la porta della propria esistenza rispetto a certe notizie, il dolore, come un gas nervino, attraversa il buco della serratura, lo stipite della porta e si espande ovunque avvelenando ogni cosa. E allora, dopo aver pianto per un’intera giornata, comprendi che piangere non serve a nulla, stamattina ho deciso di scrivere, ho deciso di cristallizzare le emozioni e le riflessioni di chi deve subire, suo malgrado, le conseguenze, gli effetti devastanti di certe notizie.

Sì, perché già i romani dicevano che “Errare humanum est, perseverare nefarium”. Così quando 25 anni fa, mio fratello, Federico Starnone appena ventenne, si trovò coinvolto in un processo penale per spaccio, come avvocato gli diedi tutto il supporto legale e come famiglia, insieme a mio padre e mia madre, nonostante il dolore e consapevoli della umana natura del “perdono”, ci operammo tutti quanti per assisterlo moralmente e materialmente, sia dentro la struttura carceraria, consentendogli di conseguire il diploma, sia dopo l’espiazione della pena, al fine di poter essere reinserito nella società. Ma dopo 25 anni, adesso che Federico è anche padre di due splendide bambine, la lettura di certe notizie, dopo aver gettato me e la mia famiglia nell’oscuro baratro della disperazione, non lascia più spazio alla commiserazione, pur restando e confidando nel beneficio del dubbio, sancito dal principio della presunzione di non colpevolezza.

Un padre non può esporre i propri figli a simili e deplorevoli esperienze, due bambine non possono vedersi piombare in casa le forze dell’ordine alle 4 di mattina e, si badi bene, non sto accusando le forze dell’ordine, ma chi come genitore ha il dovere morale di proteggere e garantire una vita serena ai propri figli.
Voglio sottolineare che come donna e come docente responsabile della legalità e impegnata in attività che hanno ad oggetto il disagio giovanile causato, soprattutto, dall’uso di sostanze stupefacenti, condanno e prendo ferma posizione, unitamente alla mia famiglia, contro qualsiasi organizzazione malavitosa e ogni tipo di illecito.

Sono cresciuta in una famiglia dove ho visto, sin da bambina, lavorare onestamente e instancabilmente sia mio padre che mia madre fino a quando la malattia non l’ha obbligata all’infermità fisica. Questi sono gli esempi che la mia famiglia si pone come modello di vita, l’onesto e instancabile lavoro a testa bassa e con umiltà, e per tale ragione possiamo camminare orgogliosi a testa alta e senza vergogna. Adesso attendiamo l’esito del processo, non nelle piazze, non nei vicoli e nelle contrade, neanche nei gossip giornalistici, ma nelle aule di tribunale a ciò preposte per legge.

Patrizia Starnone

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Il Fatto Quotidiano

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