Il Cile è a un passo dalla svolta: pronta la legge per l’aborto libero

  • Postato il 15 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il Cile si trova oggi al centro di una svolta politica e culturale senza precedenti: nel maggio 2025, il governo di Gabriel Boric ha presentato al Congresso un disegno di legge per legalizzare l’aborto volontario fino alla 14ª settimana di gestazione, senza doverne giustificare le ragioni. Una proposta storica per un Paese che, fino al 2017, criminalizzava l’interruzione di gravidanza in qualsiasi circostanza e che oggi la consente solo in tre casi: pericolo di vita per la gestante, stupro o malformazione fetale letale.

Dietro questa proposta legislativa si cela una realtà ancora drammaticamente segnata dalla criminalizzazione. Tra il 2012 e il 2022, secondo i dati della campagna “Podría Ser Yo: Por Una Salud Sin Miedos”, 444 persone sono state perseguitate penalmente per aborto in Cile, e in circa il 10% dei casi si trattava di aborti spontanei. Le denunce, spesso, arrivano dal personale sanitario stesso, che tradisce così il mandato etico della cura. Le persone colpite sono per lo più giovani donne, studentesse, lavoratrici precarie, prive di accesso a informazioni affidabili, assistenza legale o supporto sanitario.

Nel giugno 2025, le autorità cilene hanno sequestrato il più grande carico mai registrato di Misotrol, un farmaco utilizzato per abortire, introdotto illegalmente dal Perù. Le 1.800 compresse erano destinate al mercato nero, testimoniando l’esistenza di un sistema parallelo di accesso all’aborto, insicuro e non regolato. Secondo El País, ogni anno in Cile si effettuano tra i 30.000 e 150.000 aborti clandestini, senza supervisione medica, spesso in solitudine, con farmaci acquistati online e in condizioni sanitarie precarie.

Eppure, il consenso sociale è cambiato. Un’indagine del Centro de Estudios Públicos (CEP) mostra che il 63% della popolazione cilena è favorevole alla legalizzazione dell’aborto, percentuale che sale oltre il 70% tra le persone sotto i 30 anni. La nuova generazione guida la richiesta di diritti, giustizia riproduttiva e libertà di scelta.

Il Cile non è un’eccezione. In America Latina, la questione dell’aborto rimane altamente polarizzata. Mentre Paesi come Argentina (2020), Colombia (fino alla 24a settimana, 2022), Cuba, Uruguay e il Messico (dove la Corte Suprema ha depenalizzato l’aborto) hanno intrapreso riforme coraggiose, in molti altri la penalizzazione resta la regola. Nove Paesi latinoamericani, tra cui il Cile, permettono l’aborto solo in casi specifici, come il pericolo di vita per la gestante, gravi malformazioni del feto o gravidanza da stupro.

– Costa Rica (art. 121), Guatemala (art. 137), Paraguay (art. 352), Perù (art. 119) e Venezuela (art. 435) lo permettono solo se è a rischio la vita della donna.
– Bolivia (art. 266), Brasile (art. 128), Cile e Panama (art. 144) includono anche lo stupro e l’inviabilità del feto.
– L’Ecuador limita l’accesso per stupro solo a persone con disabilità mentale (art. 150) e non riconosce l’inviabilità fetale come motivo legittimo.

In contrasto, in Haiti, Repubblica Dominicana, Nicaragua, Honduras e El Salvador l’aborto è vietato in ogni circostanza. In El Salvador, come denunciato da Amnesty International, donne che hanno subito aborti spontanei sono state condannate fino a 30 anni di carcere. La presunzione di colpevolezza penetra nella pratica clinica, trasformando eventi naturali in reati.

Anche nei Paesi in cui l’aborto è legale, permangono ostacoli significativi: l’obiezione di coscienza, la pressione religiosa, la disomogeneità territoriale e la stigmatizzazione sociale. In Argentina, ad esempio, l’applicazione della legge varia tra le province. In Messico, le decisioni della Corte Suprema non sono automaticamente vincolanti per tutti gli stati federali. Quello che accomuna gran parte del continente è l’impatto sproporzionato della criminalizzazione sulle persone più vulnerabili: giovani, indigene, afrodiscendenti, persone con disabilità, migranti. La salute sessuale e riproduttiva è dunque una questione di diritti umani, di giustizia sociale e di equità.

Uno degli aspetti più gravi è il coinvolgimento del sistema sanitario nella repressione. In Cile e altrove, sono spesso medici e infermieri a denunciare le pazienti alle autorità, violando il principio di riservatezza e rafforzando la paura. Invece di offrire cure, molte strutture diventano luoghi di sorveglianza. Organismi internazionali come l’OMS, il Comitato CEDAW, la Commissione e la Corte Interamericana dei Diritti Umani hanno denunciato ripetutamente che la penalizzazione dell’aborto non riduce il numero di interruzioni, ma le rende solo più pericolose e inaccessibili. Criminalizzare non salva vite: le mette a rischio.

La proposta cilena rappresenta allora un passo decisivo per riconoscere l’aborto non come un crimine, ma come parte integrante della salute pubblica e legalizzarlo significa ridare dignità e libertà alle persone che decidono sul proprio corpo. Perché il diritto di decidere sul proprio corpo è un diritto umano e oggi, più che mai, il Cile e l’America Latina sono chiamati a scegliere tra paura mischiata ad un dogma religioso e una giustizia sociale reale.

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Il Fatto Quotidiano

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