Il caso Max Mara non si ferma, il sindaco di Reggio Emilia incontra le lavoratrici: “L’azienda apra al confronto”. Ma le sarte denunciano: “La compagna dell’ad ha chiesto ad alcune dipendenti di firmare un documento contro chi ha scioperato”

  • Postato il 26 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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È passato un mese dalla denuncia pubblica delle operaie della Manifattura San Maurizio, cuore della produzione Max Mara a Reggio Emilia. Dopo due giornate di sciopero, dopo il servizio de Il Fatto Quotidiano che ha acceso i riflettori internazionali sul caso, dopo il fragoroso silenzio dell’azienda e il successivo intervento del Parlamento, del Ministero del Lavoro e della politica locale, mercoledì 25 giugno una delegazione di lavoratrici è stata finalmente ricevuta in Comune dal sindaco Marco Massari. Ma il nodo resta: da Max Mara nessuna apertura, nessun passo avanti, anzi, solo un muro istituzionale e qualche manovra interna per dividere chi ha protestato.

L’incontro in Comune e le parole del sindaco
Ad accogliere le lavoratrici, accompagnate dalla sindacalista CGIL Erica Morelli, sono stati il sindaco Massari (in quota Pd) e l’assessora alle pari opportunità Annalisa Rabitti. “Le segnalazioni delle dipendenti meritano attenzione”, ha dichiarato Massari. “Esistono confini entro i quali l’amministrazione comunale può muoversi, ma auspichiamo che maturi un dialogo tra azienda, rappresentanza sindacale e lavoratrici”. In altre parole: il Comune ascolta, prende nota, ma non interverrà direttamente. Un passaggio importante, certo, ma che – come denuncia l’opposizione – lascia scoperta una zona grigia dove la politica sembra temere di pestare i piedi alla proprietà. L’assessora Rabitti ha aggiunto che il Comune continuerà a lavorare “contro ogni forma di discriminazione, anche sul lavoro”, confermando che il tema del rispetto e della dignità delle lavoratrici è ora all’attenzione dei tavoli istituzionali.

“È stato un incontro positivo, mirato a mettere al corrente l’amministrazione comunale delle condizioni quotidiane delle lavoratrici, anche tenendo conto delle uscite mediatiche dove la risposta dell’azienda è stata che queste erano tutte falsità“, ha spiegato Erica Morelli. Le operaie hanno ribadito le loro denunce: insulti (“grasse”, “obese”, “mucche da mungere”), pressioni psicologiche, umiliazioni e violazioni della dignità umana, ritmi a cottimo, controlli sulle pause per andare in bagno. Dal canto suo, il sindaco Massari, come riportato in una nota ufficiale, ha confermato “l’auspicio che il confronto porti a un miglioramento” e ha ribadito che sarebbe “importante l’applicazione del contratto nazionale di lavoro“. Tuttavia, ha messo le mani avanti sui suoi poteri: “Nella piena consapevolezza che esistono confini all’interno dei quali l’amministrazione comunale può muoversi, […] auspichiamo che maturi un dialogo tra l’azienda, i rappresentanti sindacali e le lavoratrici”. Tradotto dalle parole della sindacalista: “Non hanno strumenti normativi per obbligare l’azienda ad aprire un tavolo. Faranno presente le richieste alla proprietà, ma non possono intervenire per obbligarli a sedersi”.

Una posizione che ha deluso l’opposizione: “Non avevamo reali aspettative per oggi e così è stato. Il sindaco non incontrerà Maramotti“, ha commentato a caldo il consigliere Dario De Lucia di Coalizione Civica. “Decidere di non agire per tutelare il lavoro […] vuol dire non capire e non esercitare bene il proprio ruolo”. De Lucia è netto: “Il primo cittadino ha scelto di non incontrare la proprietà Max Mara. Non ha chiesto neppure un confronto. Eppure parliamo di 220 lavoratrici che non hanno un contratto nazionale. Il Ministero del Lavoro e l’Ispettorato hanno definito la situazione critica. Cosa serve ancora per far muovere la politica?” Per il consigliere, la città avrebbe potuto fare di più: “Aprire un tavolo formale con l’azienda, almeno sospendere il progetto del Polo della logistica alle ex Fiere. Era il minimo. Così si difende il lavoro”.

Le lavoratrici: “Nessuna risposta dall’azienda. Ma non ci fermeremo”
La sindacalista Erica Morelli ci parla a nome della delegazione: “È stato un incontro positivo, utile a portare in Comune la nostra voce. Le lavoratrici – erano 12, ma fuori dal Municipio c’erano praticamente tutte, in camice bianco – hanno raccontato direttamente le condizioni quotidiane in fabbrica. Il primo cittadino ci ha ascoltate, ha riconosciuto che serve l’applicazione del contratto nazionale, ma ha precisato di non avere strumenti per obbligare l’azienda al confronto. Lo sapevamo, ma ora anche la città sa”. E mentre cresce la visibilità pubblica della vertenza, l’azienda resta ferma: “Dall’inizio della mobilitazione nessun passo avanti, solo la debole smentita alla stampa in occasione della sfilata alla Reggia di Caserta. Nient’altro. Non una parola alle lavoratrici. Ma noi andiamo avanti, sappiamo che sarà una battaglia lunga”.

Un clima teso: raccolta firme pro-azienda e pressioni interne
Intanto, il clima dentro la fabbrica resta teso. A fronte di chi ha scioperato e denunciato, ci sono lavoratrici che – per paura di ripercussioni – sono rimaste in silenzio. Ma non tutte: “In tanti ci hanno ringraziato per averci messo la faccia – racconta Morelli – molte stanno prendendo coraggio, stanno iniziando a parlare e a scendere in campo”. Eppure, qualcuno ha provato a dividerle. Le lavoratrici raccontano che all’interno dell’azienda è partita una raccolta firme “pro-Max Mara”, per smentire e spaccare il fronte interno. “Dietro ci sono tre figure legate alla parte amministrativa. Una è la compagna dell’amministratore delegato, che è la prima a trattare male le persone, e le altre due sue collaboratrici. Hanno chiesto ad alcune dipendenti di schierarsi, di negare tutto e firmare un documento contro chi ha scioperato. Ma noi sappiamo chi sono, e che condizioni hanno: sono impiegate, ben pagate, senza le pressioni e le mansioni delle sarte di linea. E, oltretutto, sono legate alla proprietà. Non rappresentano il nostro vissuto”. Un tentativo, dicono, di deviare l’attenzione e portare al sindaco una delegazione di lavoratrici “che stanno bene” per mettere in cattiva luce le colleghe. “Ma non attacca. Anzi: ha rafforzato il fronte. Ora anche chi inizialmente si era tenuta ai margini ci sta scrivendo, si unisce, ci ringrazia”, spiegano.

Un sistema opaco e un clima di paura
Intorno alla Manifattura San Maurizio, spiegano le lavoratrici, c’è un sistema radicato: “La gestione del personale è fatta di pressione psicologica. Le umiliazioni e le vessazioni sono all’ordine del giorno, ti fanno sentire inadeguata, instillano il senso di colpa e ti spingono a sentirti sempre in difetto, sempre in debito nei confronti dei padroni. È un sistema collaudato per isolarti. Chi si ribella viene emarginata. Ma noi stiamo resistendo”. Alcuni messaggi – raccontano – girano tra i reparti: “Il calo delle vendite è colpa vostra”, si sono sentite dire, appena dopo lo sciopero.

L’eco sulla stampa internazionale e il “boicottaggio” sui social
A oggi, l’azienda non ha aperto alcun tavolo, non ha dato risposte nonostante le diverse interrogazioni parlamentari (M5S, AVS, PD) e nonostante il viceministro del Lavoro Maria Teresa Bellucci abbia confermato in Parlamento che l’Ispettorato del Lavoro ha ricevuto “segnalazioni su situazioni problematiche” e che sono in corso “procedimenti per sanzioni disciplinari”. Nonostante il pallido tentativo di respingere le accuse fatto dall’azienda, le denunce delle lavoratrici sono diventate virali sui social, rimbalzando anche sulla stampa internazionale. Su Instagram e TikTok ci sono centinaia di post di persone che si dicono indignate al punto da non voler più acquistare capi di Max Mara e invitano tutti a fare altrettanto, boicottando l’azienda che non rispetta chi gli consente di farsi vanto della propria eccellenza.

E le lavoratrici della Manifattura San Maurizio, protagoniste silenziose dell’eccellenza produttiva di Max Mara, non mollano: “Abbiamo iniziato una lotta che riguarda tutte – dicono – e continueremo finché qualcuno non ci ascolterà davvero. Non siamo un’immagine da passerella. Siamo mani, teste, corpi che cuciono valore”. La moda italiana, oggi, passa anche da qui. Non solo dalle sfilate. Ma dalle voci che, sotto quei capi impeccabili, chiedono ascolto. E rispetto.

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Il Fatto Quotidiano

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