Il caso Calderone e le università telematiche: il ‘pezzo di carta’ conta più della cultura
- Postato il 16 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La laurea conseguita all’Università Link dalla ministra Calderone è stata oggetto di un piccolo scandalo e di una citazione in giudizio. Poiché non ho informazioni particolari in merito, non commenterò il caso in sé e attenderò con fiducia il giudizio dei magistrati; farò invece alcune considerazioni sul problema delle università telematiche e delle relative lauree.
L’esistenza di università e scuole private è tutelata dall’art. 33 della Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. I Costituenti, memori della recente e traumatica esperienza del fascismo, vollero tutelare la libertà di insegnamento come un caposaldo di democrazia. Tutte le dittature infatti hanno interesse a controllare l’insegnamento e indottrinare gli studenti di ogni ordine e grado; per fare un esempio recente si guardi alle riforme degli insegnamenti scolastici nella Russia di Putin.
Il rovescio della medaglia è quello di affiancare all’istruzione pubblica, che è un servizio erogato dallo Stato a degli utenti, un’istruzione privata, che è invece una merce venduta dagli imprenditori ai clienti. Le scuole e le università private in Italia sono di qualità molto variabile: ne esistono di eccellenti e di mediocri; ma è inevitabile che il rapporto tra lo studente e l’istituzione non possa essere del tutto equivalente a quello che si instaura nell’università o nella scuola pubbliche.
In questo contesto, di per sé delicato, si inserisce il difficile tema delle università telematiche le quali, per i loro costi relativamente modesti, sono andate incontro ad una grande proliferazione, spesso a discapito della qualità dell’insegnamento. In teoria lo Stato sovrintende al riconoscimento del titolo di studio erogato dalle università private di qualunque tipo con procedure di accreditamento; ma queste sono sostanzialmente verifiche burocratiche, che non evitano situazioni ambigue capaci di sfociare in tribunale, come è il caso della laurea (o delle lauree) della ministra Calderone. Inoltre è legittimo il sospetto che le università private, soprattutto se telematiche, possano esercitare una forte azione di lobbying, più o meno lecita, sul Parlamento e sul governo.
Una vera soluzione di questo problema non esiste: è necessario invece un aggiustamento fine e costante, che tuteli il pluralismo nell’insegnamento, ma al tempo stesso preveda rigorose procedure di accreditamento a garanzia della qualità della formazione.
A margine di questo discorso una nota di costume: la laurea (o le lauree) della ministra Calderone è (sono) completamente irrilevante rispetto al suo ruolo politico e non c’era per la ministra nessun bisogno di pubblicizzarle, e neppure di conseguirle, tanto più a fronte del fatto che si prestavano a critiche severe, con esami multipli sostenuti nello stesso giorno per di più festivo: la vicenda esemplifica in fondo la provincialità caratteristica di un paese che assegna valore più al “pezzo di carta” che alla cultura.
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