Il Capolavoro per Milano 2025 sarà una grande opera di Lorenzo Lotto dalla storia assai travagliata

  • Postato il 23 agosto 2025
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Uno dei capolavori dell’eccentrico artista del Rinascimento Lorenzo Lotto”: così la direttrice del Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, Nadia Righi, ha anticipato l’atteso Capolavoro per Milano 2025, il prestito annuale di grande rilevanza artistica e religiosa ospitato per le vacanze natalizie nella sede di Piazza Sant’Eustorgio. Per la diciassettesima edizione dell’iniziativa, l’ospite atteso sarà, in collaborazione con la Pinacoteca Nazionale di Siena, la Natività di Lotto.

Il Capolavoro per Milano 2025 è la “Natività” di Lorenzo Lotto

Spesso visto come “il genio inquieto” del Rinascimento, Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 ca. – Loreto, 1556 ca.), affronta in questa preziosa ma intima tavola il tema della natività, e lo fa attraverso la scena del bagno del bambino sulla scia di un’iconografia particolare, tratta dai Vangeli apocrifi. Oltre alla Sacra Famiglia, è infatti presente Salomè, la levatrice punita con la paralisi temporanea di una mano – che però Lotto raddoppia – per non aver creduto alla verginità di Maria. Il soggetto era stato raffigurato anche da Bernardino Luini, Leonardo da Vinci e Domenico Capriolo, e di questa stessa opera esistono delle copie, una delle quali è oggi nella Galleria Palatina fiorentina a Palazzo Pitti e una nella collezione Ferroni agli Uffizi.

La luce nella “Natività” di Lorenzo Lotto

L’ambientazione dell’opera – un interno in notturna ripreso dai modelli nordici che circolavano al tempo a Venezia -, permette all’artista di sperimentare le potenzialità della luce. E lo fa attraverso due fonti luminose, l’alone generato dal bambino e la fiamma del focolare in secondo piano. A beneficiarne è il colore, che appare intensissimo: “Tale improvviso chiarore trae fuori tutte le tinte e le fa brillare. Contro il fondo tenebroso e bruno, dove solo fiammeggiano e s’accendono lontani i carboni del camino, sta la Vergine col suo manto di vivido azzurro cobalto, il velo bianco, la veste rosso vinato con maniche color fuoco: e la donna in faccia a lei, in vesti verdi dorate, con maniche più scure, avvolta in parte la testa con un velo rosso smorto: più oltre brilla l’azzurro della tunica di S. Giuseppe, e il suo manto di vivacissimo giallo”, scriveva Anna Maria Ciaranfi sul Bollettino dell’Arte del 1936 dopo il grande restauro di cui la tavola aveva un disperato bisogno.

Un’opera sottratta dalla collezione dei Gonzaga: le peripezie della “Natività” di Lotto

Datata al 1521, la tavola – che originariamente aveva la più ampia misura di 66×55 cm – faceva parte della collezione dei Gonzaga, la grande famiglia principesca di Mantova, e risultava nell’inventario del loro patrimonio del 1526 come “quadretto sopra l’asse dipintovi un presepio con cornice piata fregiata, o Madonna che lava il Bambino natto”. Insieme a lavori di Giovanni Battista Moroni, Sofonisba Anguissola e Albrecht Dürer, l’opera rientrava nel patrimonio della famosa “galleria celeste”, saccheggiata nel 1630 dai lanzichenecchi durante il sacco di Mantova. La tavola sarebbe poi finita, e qui la storia non è proprio chiarissima, in casa di una ramo della famiglia senese dei Piccolomini (la stessa del grande Papa Pio II).

L’opera, già sciupata ma ancora firmata, entrò quindi nella collezione della famiglia Spannocchi con il matrimonio di Caterina Piccolomini della Modanella con Giuseppe Spannocchi a fine Settecento. “Le condizioni del dipinto andarono certo sempre più peggiorando: così che, con l’intenzione di salvarlo, vennero eseguiti, non si sa quando, quei lavori di verniciatura e di stiratura i quali, come si è visto, lo rovinarono invece disastrosamente”, ricorda Ciaranfi. Restaurata a fine Ottocento, quando divenne bene dell’Accademia di Belle Arti di Siena, l’opera venne ridotta con l’eliminazione delle parti laterali troppo deteriorate, motivo per cui datazione e firma sono andate perdute.

Giulia Giaume

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Artribune

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