“Il bando del Viminale discrimina gli stranieri”. Il Tribunale di Milano ordina a Piantedosi di rifare il concorso per funzionari
- Postato il 18 febbraio 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso di Asgi e Avvocati per niente, associazioni attive nel contrasto alle discriminazioni degli stranieri, contro un bando del maggio 2024 indetto dal Viminale per il reclutamento di 1.248 funzionari del ministero dell’Interno. Il bando riserva i posti ai soli cittadini italiani, escludendo gli stranieri, compresi i cittadini “di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria”, che l’articolo 38 D.lgs 165/01 equipara a quelli dell’Unione europea nel garantire loro l’accesso ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche. Una scelta che la giudice Camilla Stefanizzi ha giudicato discriminatoria nella sentenza depositata lunedì 17 febbraio.
Secondo le associazioni ricorrenti, assistite dagli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri e supportate dell’associazione “Italian* senza cittadinanza”, la cosiddetta “riserva di cittadinanza”, inserita nel bando col richiamo al DPCM 174 del 1994, che permetteva la limitazione per tutti i posti di lavoro alle dipendenze di alcuni Ministeri, viola l’ordinamento interno e la normativa europea. Il Tribunale del lavoro di Milano ha dato loro ragione e, rifacendosi a numerose precedenti sentenze, anche della Corte di Giustizia europea, ha escluso che quel DPCM possa considerarsi ancora in vigore e che la “riserva di cittadinanza” è applicabile solo ai posti di lavoro in cui si esercita in modo continuativo un pubblico potere. Ma non è questo il caso, trattandosi di posti che riguardano funzioni amministrative, finanziarie, contabili o addirittura “linguistiche”.
Il Viminale, che ha chiamato in causa anche Palazzo Chigi, aveva chiesto di “dichiarare la mancanza di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo”. Richiesta respinta, trattandosi di un’esclusione dal concorso “contestata sotto il profilo della discriminazione”, spiega la sentenza. “La posizione della giurisprudenza sul punto è granitica e la sussistenza della giurisdizione dell’autorità adita nel presente giudizio non può essere seriamente messa in discussione”. Quanto alle cose serie, la discriminazione è stata messa in atto con una norma che “deve ritenersi implicitamente abolita proprio dall’art. 38 d.lgs 165/2001”, dice la sentenza riferendosi a quella che è ormai la norma di riferimento in materia. Che cita esplicitamente tutte le categorie di cittadini che dovranno ora essere ammesse al concorso: cittadini europei, familiari di cittadini europei, stranieri titolari del permesso di lungo periodo o titolari di protezione internazionale.
Il ministero di Matteo Piantedosi, che aveva continuato a svolgere le procedure concorsuali nonostante il giudizio in corso, dovrà rifare tutto daccapo, riaprendo i termini per le domande e organizzando nuove prove per i cittadini stranieri che saranno ammessi. “Le associazioni che hanno promosso il giudizio esprimono piena soddisfazione per il risultato che rompe il tabù delle persone migranti come inevitabilmente destinate a lavori poveri e marginali, confermando ancora una volta che tutti e tutte, indipendentemente dalla loro cittadinanza, possono essere a pieno titolo parti della collettività, farsi carico degli interessi pubblici e contribuire al bene nazionale”, hanno scritto in un comunicato le associazioni. Il Tribunale ha condannato il Viminale al pagamento delle spese processuali e ordinato la pubblicazione della sentenza sul sito del ministero e della Presidenza del Consiglio.
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