“Idee rivoluzionarie ma non associazione a delinquere”, ecco perché per i militanti di Askatasuna sono stati assolti

  • Postato il 2 luglio 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Tra i militanti di Askatasuna c’è chi coltiva “idee rivoluzionarie”, si richiama a Hezbollah e cova “astio verso le istituzioni” ma questo non significa fare parte di un’associazione e non è nemmeno reato. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza del maxi processo agli attivisti del centro sociale. Lo scorso marzo il tribunale di Torino avevano inflitto 18 condanne, ma solo per episodi specifici, assolvendo gli imputati dall’accusa di associazione per delinquere.

La sentenza si sofferma sul contenuto di una conversazione fra tre militanti, intercettati durante le indagini, che i pm avevano richiamato a sostegno delle loro tesi. Secondo il tribunale, sebbene ritenga “che tale conversazione dimostri sicuramente l’inclinazione degli interlocutori a coltivare idee rivoluzionarie e la loro ambizione a una trasformazione gli assetti istituzionali, indugiando anche esplicitamente su scenari informati a metodi non democratici”, come si ricava dai riferimenti, tra gli altri, a Hezbollah, non si può ritenere sussistente una vera e propria associazione per delinquere.

La conversazione tra gli intercettati in realtà poi sfocia in “una analisi della situazione generale” definita dagli stessi magistrati “confusa”, che fa riferimenti “ad altre esperienze di protesta”, come Black lives matter. Emerge dunque l’impronta ideologia rivoluzionaria dei militanti, ma mancano dei “capi” o una struttura gerarchica tra gli attivisti del centro sociale, richiesti per la sussistenza dell’articolo 270 bis del codice penale. Le attività culturali, sociali e sportive portate avanti da Askatasuna a partire dal 1996 non sono state messe in discussione, ma la procura di Torino ha sostenuto che all’interno del centro sociale un piccolo nucleo di militanti ha tentato di “strumentalizzare” le iniziative per fare proselitismo e cercare consenso.

Queste affermazioni, però, secondo i giudici non hanno trovato riscontro in nessuna delle circa 40 testimonianze raccolte in aula su richiesta della difesa. Nelle motivazioni si legge piuttosto che “la prassi era prendere le decisioni sempre all’esito di un percorso assembleare”.

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Il Fatto Quotidiano

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