Ictus, aritmie, arresto cardiaco: così la crisi climatica manda in tilt anche il cuore

Non solo caldo: l’esposizione al fumo degli incendi boschivi è stata associata, sempre secondo lo studio, a un aumento della mortalità per arresti cardiaci extraospedalieri e ospedalizzazione per cardiopatia ischemica; eventi meteorologici estremi come uragani, siccità e tempeste di polvere sono stati associati a un aumento del rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare che, nel caso degli uragani, persisteva mesi dopo l’evento; l’esposizione all’ozono è stata associata a esiti peggiori dopo l’infarto del miocardio, incluso un aumento del rischio di eventi ischemici ricorrenti.

Il cambiamento climatico agisce sul cuore anche in altri modi, più indiretti. In un articolo pubblicato su Am J Prev Cardiol, “gli eventi meteorologici estremi sono anche associati a traumi, stress e depressione che sono fattori di rischio per la cardiopatia ischemica. Inoltre, le diete povere di prodotti freschi, cereali integrali e frutti di mare – messi a rischio dalla desertificazione e dal calo della resa agricola – sono responsabili di oltre 3 milioni di morti cardiovascolari all’anno in tutto il mondo. Anche le migrazioni forzate spingono centinaia di milioni di persone in luoghi mal preparati a fornire servizi di salute cardiovascolare per i rifugiati climatici.

Come freddo improvviso e caldo estremo danneggiano il cuore

Anche in Italia, gli esperti di medicina ambientale e i cardiologi più sensibili alle questioni climatiche cominciano a dare l’allarme. Secondo Gabriele Bronzetti, professore di Cardiologia presso l’Università di Bologna e l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna e neoautore di un suggestivo libro, Nel cuore degli altri (Aboca), “è intuitivo che le temperature e i climi estremi danneggino il cuore soprattutto per quanto riguarda le aritmie cardiache. Qualsiasi stato di disagio può precipitare uno scompenso cardiaco, ovvero l’incapacità del cuore di sopperire al fabbisogno metabolico. Quindi un cuore con un tessuto indebolito, con delle valvole danneggiate o con aritmie può risentire molto di sbalzi termici estremi. Per esempio le alte temperature peggiorano le aritmie in due modi: o attraverso un calo di elettroliti come calcio sodio magnesio dispersi col sudore o direttamente tramite il sovraccarico termico in sé. Si pensi alle convulsioni che vengono durante la febbre e che sono da considerare ‘aritmie’ del cervello, così le aritmie cardiache propriamente dette sono facilitate dalle alte temperature. Ma anche il grande freddo può far male”.

È anche la rapidità dei cambiamenti che non dà all’organismo il tempo di adattarsi. “Come diceva il prof. Bronzetti”, spiega a sua volta Ferdinando Laghi, medico e vicepresidente nazionale ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente), “rispetto al cuore, il crollo delle temperature si accompagna alla vasocostrizione: se uno ha una cardiopatia ischemica o un sistema circolatorio già ristretto per via delle placche ateromasiche ecco che il riflesso di vasocostrizione, collegato al calo improvviso delle temperature può determinare problemi ischemici, dunque una irrorazione insufficiente in tutti gli organi e apparati”. Se il freddo improvviso può fare male, a maggiore ragione il caldo estremo. “Il caldo è ancora peggio”, continua il vicepresidente ISDE, “perché determina una vasodilatazione e un’aumentata traspirazione o sudorazione. I vasi si dilatano e sono meno portanti, perché c’è meno liquido, in più quel liquido viene ulteriormente ridotto dalla sudorazione e dalla traspirazione, per cui il volume circolatorio diminuisce, rallenta e quindi crea le condizioni di aumentata densità e di diminuzione di velocità, che insieme favoriscono la formazione di trombi, cioè l’aggregazione di piastrine. Oggi dovremmo ritarare le terapie a seconda dell’andamento climatico, penso ad esempio a quella degli ipertesi”.

Crisi climatica e cuore degli atleti

L’esperto conferma anche il collegamento tra inquinamento e problemi cardiaci. “Già numerosi anni fa alcuni studi nel nostro Paese avevano calcolato che il numero degli infarti, nelle giornate di smog ricche di dell’ozono, gas tossico che si forma spesso quando c’è caldo torrido, e di particolato fine ed ultrafine, aumentava addirittura del 5%. Il particolato ha un effetto protrombotico, specie quello ultrafine, che non viene intercettato neanche dai filtri industriali e arriva agli alveoli per poi passare ai vasi, dove appunto svolge una funzione prototrombotica”.

Il cambiamento climatico ha anche effetti gravi e pesanti sul cuore degli atleti, come segnala la rivista American College of Cardiology in uno studio del febbraio 2024. Non solo il cambiamento climatico sta provocando ovunque la cancellazione di numerosi eventi sportivi, ma soprattutto il calore estremo influisce su più aree della fisiologia cardiaca durante l’esercizio. Durante l’esposizione al calore, c’è un aumento del flusso sanguigno alla pelle per raffreddare il corpo e una maggiore attività simpatica. Si ritiene che questi effetti adattativi che prevengono l’ipertermia siano associati all’emoconcentrazione, all’ipercoagulabilità e alle anomalie elettrolitiche. L’esercizio fisico aggrava questi effetti promuovendo un’ulteriore vasodilatazione periferica e attivazione simpatica, nonché un aumento del lavoro cardiaco e della gittata. I pazienti con condizioni cardiovascolari sottostanti possono essere a maggior rischio di eventi avversi a causa di queste risposte fisiologiche additive nel contesto dell’esposizione al calore estremo. Le diminuzioni del volume intravascolare correlate all’ipertermia possono esacerbare il disallineamento tra domanda e offerta del miocardio. L’aumento dell’infiammazione locale e l’ipercoagulabilità possono predisporre gli individui a rischio alla rottura della placca arteriosa e all’infarto del miocardio. Pertanto, le prestazioni fisiche e la gestione delle comuni malattie cardiovascolari sono influenzate negativamente dall’esposizione al calore estremo.

Cosa fare allora? Sicuramente, serve continuare a fare prevenzione, quando si fa sport in tempi di eventi climatici estremi. Spiega Gabrielle Bronzetti: “Oltre all’elettrocardiogramma, che già viene fatto a tappeto – in questo senso come Paese siamo stati uno dei primi paesi al mondo ad avere questo screening di massa – consiglio fortemente un ecocardiogramma da effettuare dopo i 12 anni. Per il resto, però, trovo assurdo fermare ragazzi che abbiano problemi cardiaci che possono essere tenuti sotto controllo. Lo sport tiene lontani i ragazzi dagli smartphone e dalla depressione e consente anche di farli stare in salute, dunque essere più resistenti anche ad un clima che cambia”.

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Il Fatto Quotidiano

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