I musei e le opere danneggiate dai visitatori un po’ “cialtroni”: “Il problema sono i cellulari. La soluzione migliore? Distanziatori visibili e allarmi sonori ad alto volume”

  • Postato il 29 giugno 2025
  • Cultura
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Chi ha avuto la possibilità di visitare la Cappella Sistina nei Musei Vaticani porterà con sé un ricordo indelebile, perché si sarà accorto di aver stimolato non uno, bensì due sensi. Prima di tutto la vista, nell’ammirare le pitture murali di Michelangelo Buonarroti; poi l’udito. Perché sarà difficile dimenticare le voci insistenti al limite del fastidioso, del personale di vigilanza che ripete con voce monotona: “No foto, no foto”. Ecco, nella Cappella Sistina i selfie – e le foto in generale – non si fanno. Per nessun motivo. Lo stesso accade al Museo del Prado di Madrid, nonostante da circa un anno sia stata liberalizzata la possibilità di fare foto – e perfino di ritrarsi col proprio smartphone – davanti a Guernica, il capolavoro di Picasso, al Museo Reina Sofia.

Chi ha ragione? Coloro che permettono il formarsi della trincea di macchine fotografiche e telefonini davanti alla Gioconda di Leonardo da Vinci al Louvre o chi vieta di fotografare tre dei quattro dipinti delle Storie di Nastagio degli Onesti di Sandro Botticelli nel principale museo di Madrid?

A giudicare dall’incidente occorso sabato nella Galleria degli Uffizi quando un turista, indietreggiando per farsi un selfie, ha squarciato la tela col Ritratto del Gran Principe Ferdinando de’ Medici dipinta nel 1712 da Anton Domenico Gabbiani, parrebbe che i dirigenti museali che permettono l’utilizzo dei mezzi fotografici nei musei abbiano torto. Ma non bisogna essere troppo semplicistici.

In certe sale di alcuni musei, per esempio, vi sono delle sedute di varia natura, che consentono di ammirare le opere d’arte con lentezza, con riflessione e concentrazione. Quei divanetti rappresentano l’estremo opposto dei selfie, della visita mordi-e-fuggi. Eppure oggi c’è chi è disposto a pagare somme anche molto alte (e talvolta a fare lunghe code) per entrare in un museo, ma allora perché affrettarsi a consumare un’esperienza di tale livello tra selfie scattati di fronte ai totem dell’arte, gomitate, brusio e passeggiate tra due ali di bellezza che non lasceranno niente nella nostra memoria?

Tutto ciò implica spiegazioni a livello psicologico, ma talvolta non tutto il male vien per nuocere. Per esempio tutti i dirigenti museali, nessuno escluso, hanno tra gli obiettivi del proprio mandato sia la conservazione, sia la valorizzazione del patrimonio culturale, cioè la messa a reddito, l’incasso del prezzo del biglietto. In entrambi i casi non si possono stabilire limiti fissi, per cui occorre una costante dose di equilibrio.

Il problema, semmai, è che per aumentare gli incassi, nessun dirigente – salvo pochissimi casi isolati – vuole adottare misure ritenute “retrograde” o perfino “liberticide”. Insomma chi vieta i selfie nei musei – particolarmente fastidiosi negli ambienti affollati – teme di passare per colui che si rifiuta di stare al passo coi tempi, cioè con la possibilità di rincorrere il traguardo dell’hic et nunc continuo, come chi mette la bandierina sulla vetta dell’Everest.

Per capire se e come si potrebbero prevenire simili situazioni, ilfattoquotidiano.it ha chiesto pareri ad alcuni addetti ai lavori.

“Se ci fosse un altro tipo di educazione probabilmente non ci sarebbero problemi – afferma Antonio Natali, che ha guidato la Galleria degli Uffizi tra il 2006 e il 2015 -. Eppure fare uno scatto fotografico a un’opera significa scordarsela, perché l’azione avviene con uno strumento all’esterno di me, quella foto non la riguarderai mai più e quel che è peggio, siccome non l’hai guardata con la dovuta attenzione, di essa non ti resterà niente. Io credo che vada ripensata l’educazione e ricostruita un’etica dell’esistenza. Giuseppe Pelli Bencivenni, che per 18 anni fu direttore degli Uffizi alla fine del Settecento, invitava tutti a recarsi nel museo per imparare a riconoscere il bello e poi individuarlo anche fuori dal museo. Da un punto di vista meramente tecnico io penso che i quadri vadano protetti, ma con mezzi che non inducano a danni anche peggiori. Per esempio i distanziatori non possono essere troppo bassi, perché diventano pressoché invisibili e quindi più pericolosi di quanto ci si possa immaginare. Meglio più alti e ben segnalati. Solo così possiamo puntare alla massima efficienza”.

Il curatore di mostre del Novecento e di arte contemporanea Alberto Dambruoso è assai netto: “Io credo che vivere in questa società dell’immagine e della omologazione dei comportamenti, renda necessarie scelte drastiche: o si invitano i visitatori a lasciare macchine fotografiche e cellulari a casa (ma si potrebbero anche depositare temporaneamente al guardaroba come si fa in ogni museo con gli ombrelli e gli zainetti) ed eventuali trasgressori si cacciano con decisione, oppure si predispongono dei distanziatori ben visibili, ad altezza giusta, possibilmente dotati di allarmi sonori a volume alto, che entrano in funzione se una persona si avvicina troppo a un’opera d’arte. Un deterrente ci vuole. Basta scegliere quale. Altrimenti non se ne esce”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Alessandra Quarto, direttrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano che tra sei anni compirà il secolo e mezzo di vita: “L’argomento non è semplice e l’utilità dei distanziatori è perfino ovvia. Il problema è però rappresentato dalla disattenzione e dalla distrazione dei visitatori. Per cui i distanziatori, purché non troppo bassi e ben visibili, sono fondamentali. Ma è la correttezza di chi visita il museo e conosce le regole che conta di più, perché dovrebbe muoversi con più attenzione e rispetto per il luogo e per le opere d’arte esposte. Mentre gli Uffizi sono un museo enorme, il Poldi Pezzoli è una casa-museo, con una sua intimità, con spazi più piccoli e qui i nostri visitatori sono ovviamente più attenti perché si muovono in ambienti più raccolti. È certo che i musei fanno di tutto per mettere in sicurezza il patrimonio, ma è necessario dare maggiori regole ai visitatori che entrano e invitarli a essere più attenti. Io credo che chi decide di visitare un museo debba essere molto attento perché si trova in un luogo con delle sue specificità e delle opere che dal passato sono giunte sino a noi non per caso; ma perché qualcuno si è assunto il compito di preservarle con attenzione“.

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