I dazi di Trump sono molto più di una questione commerciale. Scrive Caruso
- Postato il 30 luglio 2025
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- Di Formiche
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I dazi di Trump non sono semplicemente uno strumento di riequilibrio commerciale. Sono l’arma principale di una strategia geopolitica più ampia che mira a riorganizzare l’intero sistema globale attorno al controllo americano. Nel contesto di quella che molti analisti definiscono la “Seconda Guerra Fredda” tra Stati Uniti e l’asse sino-russo, le tariffe doganali diventano il grimaldello per ridisegnare alleanze, catene di approvvigionamento e gerarchie tecnologiche.
La monetizzazione dell’egemonia americana
L’obiettivo strategico è cristallino: gli Stati Uniti non si stanno ritirando dall’ordine globale, lo stanno monetizzando. L’accordo con l’Ue prevede infatti investimenti europei negli Usa per 600 miliardi di dollari e acquisti di energia americana per 750 miliardi – cifre che vanno ben oltre il semplice riequilibrio commerciale.
La strategia di Stephen Miran, ispiratore delle politiche trumpiane, punta a quello che gli analisti definiscono una “Pax Trumpiana” basata su una nuova suddivisione dei costi, dove la partecipazione al sistema guidato dagli Stati Uniti ha un prezzo preciso: in termini commerciali, standard tecnologici e allineamento strategico.
Il calcolo è spietato ma efficace: gli Stati Uniti controllano una quota di domanda globale sufficientemente ampia da deprimere i prezzi attraverso politiche tariffarie, garantendo che siano gli altri a pagare mentre l’America riafferma il controllo sistemico.
Riorganizzazione strategica delle alleanze
Le prime mosse di Trump, che hanno colpito con dazi anche partner strategici come Canada e Messico, hanno sorpreso quegli stati che si consideravano alleati privilegiati nella rete di contenimento anti-cinese. Ma è proprio questo il punto: l’era del “friendshoring” selettivo è finita. Trump punta a penalizzare anche quei Paesi che potrebbero rappresentare vie alternative per le merci cinesi, massimizzando l’interesse economico nazionale americano.
L’imposizione di nuovi dazi sta già rimodellando le catene di approvvigionamento tecnologico globali, spingendo le aziende verso una riorganizzazione che privilegi fornitori e partner allineati strategicamente con Washington. Secondo il report Capgemini 2025, il 73% delle aziende adotterà il friendshoring come strategia chiave, mentre l’82% intende ridurre la dipendenza dalla Cina.
Il controllo dell’ecosistema tecnologico
La dimensione tecnologica è cruciale. I dazi non mirano solo a “comprare il gas per ridurre lo sbilancio commerciale” ma a imporre acquisti nel lungo periodo, impedendo all’Europa di costruire la propria indipendenza energetica. Lo stesso vale per i settori tecnologici avanzati: semiconduttori, intelligenza artificiale, sistemi di difesa.
Trump sta infatti mobilitando sistematicamente l’industria pesante americana attraverso il Defense Production Act, puntando a rendere completamente “indigene” le catene di approvvigionamento della difesa. L’obiettivo è creare un ecosistema tecnologico autosufficiente e controllato, che riduca al minimo le dipendenze strategiche.
La Cina e la risposta sistemica
La Cina ha compreso la lezione: il motto “Make America Great Again” ha dimostrato a Xi Jinping la determinazione americana a mantenere la supremazia mondiale. La risposta di Pechino non è solo commerciale ma sistemica: non a caso, nelle ore successive all’insediamento di Trump, Putin e Xi hanno ribadito in una videochiamata il loro impegno per “un ordine mondiale multipolare più equo”, rafforzando un blocco alternativo al sistema americano attraverso iniziative come il Brics+ e partenariati strategici bilaterali.
Questa guerra fredda economica si gioca su tecnologia e alleanze strategiche, con una competizione per la supremazia industriale che si riflette nelle politiche di sussidi, nelle restrizioni all’export di semiconduttori e nella corsa al dominio dell’intelligenza artificiale.
Oltre la bilancia commerciale
L’accordo von der Leyen-Trump va dunque letto come il primo tassello di un puzzle molto più ampio. Non si tratta di una questione di equilibri commerciali a breve termine, ma della riprogettazione del sistema a lungo termine. La strategia mira a separare le economie americana e cinese, con restrizioni crescenti su investimenti, tecnologia e persino scambi accademici.
Per l’Europa, la sfida è duplice: da un lato, evitare di rimanere schiacciata tra i due blocchi emergenti; dall’altro, sviluppare una propria autonomia strategica che non la riduca a semplice satellite di Washington. L’accordo sui dazi rappresenta una “soluzione negoziata” che garantisce stabilità, ma al prezzo di una maggiore dipendenza strategica dagli Stati Uniti.
Il vero test sarà capire se l’Europa riuscirà a trasformare questa fase di transizione in un’opportunità per rafforzare la propria sovranità tecnologica ed economica, o se diventerà semplicemente il “pollo da spennare” di una nuova Pax Americana. La posta in gioco va ben oltre i punti percentuali dei dazi: è il futuro dell’ordine mondiale.