I dati di ascolto del Mondiale per club raccontano il vero obiettivo di Infantino: questo torneo non è pensato per l’Europa
- Postato il 11 settembre 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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“History made”. Così la Fifa celebra a qualche mese di distanza il primo Mondiale per club, storico almeno dal punto di vista degli ascolti: quasi tre miliardi di persone hanno seguito l’evento in tutto il pianeta, dando ragione a Gianni Infantino, il n.1 del calcio, che l’ha fortemente voluto. Secondo un’analisi commissionata a Nielsen, sarebbero stati per la precisione 2,7 miliardi gli spettatori raggiunti attraverso tutti i media, compresi dunque Dazn che era il licenziatario ufficiale globale, che ha mostrato in diretta tutti e 63 i match, e gli oltre 100 sub licenziatari nazionali che avevano accordi diversi a livello locale, come Mediaset in Italia (non è chiaro invece se nel conto vengano incluse solo le piattaforme televisive o anche i social network, sarebbe una differenza non da poco).
Del resto, che la manifestazione fosse andata bene sul piano mediatico e commerciale ce n’eravamo accorti già in Italia, durante il torneo, quando nonostante le critiche e un certo disinteresse per il risultato sportivo il pubblico aveva risposto comunque presente in tv: negli ottavi Inter-Fluminense aveva segnato il 24% di share e 4 milioni di spettatori in chiaro su Canale 5, un milione in più per Juventus-Real Madrid, la partita più vista. Ma in generale gli ascolti sono stati sempre discreti, con una media del 15% e due milioni scarsi a gara, ottima considerando che la maggior parte degli incontri non vedeva impegnate compagini italiane, e che molti sono andati in onda in piena notte visto il fuso americano, premiando l’investimento di Mediaset, che per una cifra contenuta aveva acquistato un match al giorno da Dazn. Ora i numeri italiani sbiadiscono rispetto a quelli complessivi snocciolati dalla Fifa.
Attenzione, ovviamente non è tutto oro quel che luccica. Ad esempio, rimane qualche dubbio sull’enfasi per i 2,5 milioni di spettatori negli stadi delle 11 città ospitanti (sarebbero 40mila a gara), ricordando le riprese che hanno spesso mostrato interi settori deserti, o le politiche di vendita (o sarebbe meglio dire svendita) di ticket di diverse partite di secondo piano per riempire gli impianti americani. La sostenibilità commerciale dell’evento è ancora da raggiungere, considerando che per questa prima edizione è stato fondamentale l’apporto della stessa Fifa attraverso gli amici sauditi: Il Fatto ha raccontato come Dazn abbia potuto strapagare i diritti dell’evento, assegnati per quasi un miliardo (cifra comunque inferiore alle aspettative iniziale fuori mercato), soltanto grazie al sostegno del Fondo SURJ (ramo sportivo del ricchissimo PIF), che è entrato nel capitale dell’emittente per un valore pari al prezzo dei diritti, nell’ambito della grande operazione che porterà i Mondiali di calcio 2034 in Arabia. I dati televisivi diffusi adesso dalla Fifa, indubbiamente positivi, aiutano però a capire meglio il senso dell’operazione lanciata da Infantino.
Non è solamente la portata complessiva degli ascolti, 2,7 miliardi di persone, cifra imponente, anche se parliamo chiaramente di spettatori cumulati: l’edizione di esordio vale già come mezzo Mondiale, l’evento sportivo più importante del pianeta. Sono soprattutto alcuni dati locali ad impressionare. Ad esempio, dal report Fifa scopriamo che in Brasile l’emittente Tv Globo ha registrato grazie al Mondiale per club i tre eventi televisivi più visti di tutto il 2025, tra cui il record di Flamengo-Bayern Monaco, match degli ottavi di finale, visto da 37 milioni di spettatori. In Argentina, invece, Boca Juniors-Benfica aveva fatto segnare addirittura l’84% di share. Da noi, una partita di grido in chiaro raggiunge al massimo 6-7 milioni di persone, una finale con la nazionale può sfiorare i 20, ma la differenza è abissale.
La Fifa per antonomasia è l’associazione calcistica mondiale, per natura deve guardare a tutti gli angoli del pianeta, ma qui è evidente la volontà di aprirsi a nuovi bacini. Questi dati spiegano il perché. La culla del pallone è in Europa, dove si gioca al massimo livello, ma il mercato è saturo (come dimostra anche la flessione più o meno generalizzata del valore dei diritti tv) e il margine di crescita ormai limitato. Per fare più soldi non resta che rivolgersi altrove. A mercati più grandi, e quindi anche più redditizi. Che possono avere più o meno tradizione calcistica, questo non importa. Come appunto il Brasile, che vanta una popolazione di 212 milioni di persone, e dove il torneo era anche molto più sentito che da noi. Ma anche la Cina, che nonostante un movimento inesistente e una partecipazione che manca da 20 anni, rimane la nazione che ha portato più spettatori all’ultimo Mondiale. Questa è la logica con cui era stata pensata anche la Superlega, disposta a sacrificare i 60mila tifosi che domenica scorsa ad esempio hanno seguito Parma-Atalanta, nemmeno una brutta partita, per andare a cercare milioni di consumatori cinesi, indiani, americani, con un prodotto sempre più globalizzato. È questo il futuro che piace ai padroni del pallone. Ci saranno ancora grandi competizioni, semplicemente non più pensate per noi.
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