I Baustelle vincono il premio Tenco? Ormai basta sembrare profondi
- Postato il 7 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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I Baustelle hanno vinto il Premio Tenco alla carriera. Una scelta che farà discutere. Dice molto dello stato di salute della canzone d’autore italiana, della direzione che il Tenco ha scelto — o smesso di scegliere. Tra il 2024 e il 2025 i nomi “papabili” nell’area alternativa non mancavano. In quel perimetro, tra le suggestioni più naturali c’è anche quella dei CCCP: non come alternativa ai Baustelle, ma come misura del discorso su memoria, radici, identità. In questo quadro il Tenco sceglie i Baustelle, un’estetica forte e riconoscibile, accanto ad altri nomi importanti della canzone d’autore contemporanea. Nei consueti nove punti di questo blog provo a capire che cosa racconti davvero questa scelta. Cominciamo.
1. Il senso di un premio
Il Premio Tenco dovrebbe rappresentare il presidio della qualità, della scrittura che resta e della parola che pesa. Per questo la scelta dei Baustelle spiazza: non perché scandalosa, ma perché comoda. Premia la forma, non la sostanza. La grazia, non la necessità. Cura il corpo ma dimentica l’anima. Come una cornice imponente attorno a un quadro che racconta poco o nulla.
2. Il segno dei tempi
Postmoderni con un retrogusto vintage, eleganti, citazionisti, rassicuranti. Questo sono i Baustelle. Ti fanno sentire colto e vagamente intelligente ma senza metterti in discussione. È la misura ideale per un’epoca che confonde la posa con il contenuto, la citazione con il pensiero. E il Tenco, scegliendoli, non fa che certificare il presente. Li premia per ciò che suscitano e che rappresentano: la nostalgia levigata di un Paese la cui vetrina sembra luccicare anche se vuota.
3. Il rovescio della calma
Sarà pur vero che in tempi come questi il premio ai Baustelle pare inevitabile. Forse perché in giro non c’è molto di meglio? Quando la mediocrità diventa la norma, basta un po’ di eleganza, qualche frase ben scritta e un pizzico di nostalgia per sembrare giganti. Il Tenco, però, dovrebbe ricordarsi le fondamenta sulle quali è stato pensato: riconoscere la verità della scrittura, premiare chi scava, non chi si specchia.
4. I CCCP come promemoria
E a proposito di chi ha davvero scavato: nel 2025 i CCCP hanno concluso il loro grande ritorno, dapprima con una mostra celebrativa e poi con un tour, iniziato nel 2024, in cui hanno rievocato radici, memoria e identità. Non sono queste le cose che dovrebbero animare la kermesse? La loro resurrezione era un’occasione servita su un piatto d’argento: il simbolo perfetto di ciò che un premio alla carriera dovrebbe riconoscere. E invece no. Il Tenco ha scelto di guardare altrove.
5. La verità della scrittura
Nei CCCP non c’è estetica, c’è necessità. Le parole non cercano applausi: resistono. Ogni verso è un colpo, non una carezza. Nessuna posa, nessuna distanza. Solo urgenza, carne, lucidità. Ogni loro canzone nasceva per dire qualcosa che non poteva più tacere, e la loro voce, anche dopo quarant’anni, suona ancora come un promemoria. Lì dentro non c’è nostalgia, c’è memoria viva. È questo che il Tenco avrebbe dovuto riconoscere: i Baustelle osservano, i CCCP agiscono. I primi raccontano la miopia di un tratto, i secondi – quel tratto – lo abitano.
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6. Cosa si premia davvero
Non ci fossero stati i CCCP in giro, la scelta Baustelle sarebbe stata più legittima? No. La distanza resterebbe la stessa. Perché il problema non è chi premi, ma cosa premi. Non è questione di confronto, ma di senso. La canzone d’autore non dovrebbe mai accontentarsi di essere corretta: deve essere necessaria. E quando un premio dimentica questa differenza, smette di indicare la direzione.
7. Quando tutto è a posto
Il problema non è che i Baustelle manchino di forza. Hanno costruito un linguaggio così riconoscibile da diventarne paradossalmente prigionieri. È la condanna di chi trova la formula e smette di discuterla. Tutto è coerente, tutto funziona, ma avete mai provato ad ascoltarli dal vivo? Il suono è pulito, la resa impeccabile, ogni gesto misurato. Eppure, non succede nulla. Nessuna crepa, nessuna possibilità di imprevisto. È un concerto che procede senza scosse, senza calore. Per carità: c’è di peggio, molto di peggio. Ma anche di meglio.
8. Il premio e il vuoto
Non si chiede alla manifestazione di essere rivoluzionaria, ma di restare fedele al proprio senso: onorare chi ha mantenuto viva una direzione, non chi l’ha semplicemente seguita. Negli ultimi anni, però, il premio alla carriera – fatta qualche rara eccezione – è diventato una passerella educata per nomi rispettabili. Bennato, Baglioni, Mannoia, Vasco Rossi, Zucchero, Fabio Concato e molti altri. Tutto corretto, tutto giusto. Forse. Ma a mancare è lo slancio: quello capace di andare oltre la superficie delle cose.
9. Una questione di qualità
Alla fine, resta questo: un premio dato, un altro mancato. Tutto qui. I Baustelle avranno la loro targa, i CCCP il loro silenzio. Forse è giusto così. O forse no. Il tempo farà la sua parte, come sempre. Intanto resta la sensazione che qualcosa si sia perso per strada: non un nome, ma un’occasione. Per dirla con le parole di chi è rimasto ingiustamente fuori: “È una questione di qualità o una formalità”.
Come sempre, chiudo con una connessione musicale: una playlist dedicata, disponibile gratuitamente sul mio canale Spotify — trovi il link qui sotto. Se vuoi entrare nel dibattito, fallo nei commenti o sulla mia pagina pubblica di Facebook, collegata a questo blog. È lì che la conversazione prosegue, tra post, repliche e deviazioni imprevedibili. E sì: se ne leggono davvero di tutti i colori. Buon ascolto, e buona lettura.
9 Canzoni 9 … distanti dalla superficie delle cose
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