“Ho messo fine a sei guerre senza bisogno di una tregua”: Trump si vanta, ecco come sono andate veramente le cose

  • Postato il 19 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Agli alleati europei che durante il meeting alla Casa Bianca con il leader ucraino Zelensky chiedevano una tregua, prima di un dialogo con il presidente russo Putin, Donald Trump ha risposto sicuro: la tregua non è necessaria perché “ho concluso sei guerre senza la necessità di un cessate il fuoco”. Questa frase l’aveva pronunciata già il 28 luglio a Turnberry, in Scozia. Ora, la speranza è che tra Ucraina e Russia si giunga alla conclusione del conflitto dopo tre anni e mezzo di sangue e distruzione, senza la necessità di umiliazioni. Tuttavia, la dichiarazione del capo della Casa Bianca merita di essere approfondita perché, come spesso accade con The Donald, la realtà e le dichiarazioni a favore di social e telecamere trovano delle discordanze.

La crisi India-Pakistan
I due Paesi dotati di armi nucleari si sono sparati a vicenda per diversi giorni nella contesa territoriale del Kashmir, una rivendicazione che i due Stati portano avanti dal 1947 (l’India controlla la parte centrale e meridionale, il Pakistan la parte nord-occidentale). Il 10 maggio è stato dichiarato il cessate il fuoco. La Casa Bianca si è attribuita un ruolo. Il primo ministro pakistano Sharif ha ringraziato Trump “per il suo ruolo attivo”, ma il responsabile degli Esteri indiano, Jaishankar, ha dichiarato che nessun leader straniero ha chiesto a Nuova Delhi di interrompere il conflitto.

Repubblica Democratica del Congo e Ruanda
Le violenze nella parte orientale della RDC sono attribuite da tempo al gruppo armato M23 che occupa militarmente diverse aree. Il Council of Foreign Relations (un think tank americano specializzato in relazioni e analisi internazionali) calcola che in 30 anni ci siano stati 6 milioni di morti. Diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti, hanno accusato il Ruanda di sostenere M23 che a gennaio ha conquistato ampie zone ad Est, ricche di minerali e terre rare. Il 27 giugno, i ministri delle due nazioni africane si sono ritrovati a Washington per firmare un accordo di pace. Ma non è stato un passaggio definitivo: ieri i rappresentanti di M23 non si sono presentati in Qatar, dove doveva avvenire l’ennesima firma per la fine del conflitto. Lawrence Kanyuka, portavoce dei miliziani, ha dichiarato che il governo congolese “non vuole la pace”, accusandolo di non rispettare le disposizioni contenute nell’accordo di cessate il fuoco. L’esercito della Repubblica Democratica del Congo nega.

Serbia e Kosovo
La versione del presidente Trump, fornita il 27 giugno nello Studio Ovale, è questa: la Serbia si stava preparando a entrare in guerra, siamo riusciti a impedirlo. “Ho un amico in Serbia e hanno detto ‘torneremo in guerra’. E non dirò che è il Kosovo, ma è il Kosovo. Stavano per avere una guerra di grande portata e noi l’abbiamo fermata. L’abbiamo fermata per via del commercio. Vogliono commerciare con gli Stati Uniti e io ho detto che non commerciamo con persone che vanno in guerra”. Il Kosovo ha confermato la versione di Trump, la Serbia ha negato di avere piani per un conflitto con i kosovari. Il presidente Vucic il 12 luglio ha detto così: “Non abbiamo schierato alcun soldato, non abbiamo mosso alcun meccanismo, non ci viene nemmeno in mente”.

Cambogia e Thailandia
Anche in questo caso, è stata una disputa territoriale a far aprire il fuoco il 24 luglio, con 43 vittime e almeno 300mila sfollati. I colloqui, sostenuti dagli Stati Uniti, sono iniziati il 28 luglio. Il cessate il fuoco è stato prorogato la scorsa la scorsa settimana in seguito a colloqui tra funzionari dei due Paesi in Malesia. Ma la questione non appare risolta in modo definitivo, tanto che la Cina il 14 agosto si è offerta come mediatrice a margine di una conferenza regionale del Mekong, nella provincia dello Yunnan.

Egitto ed Etiopia
In questo caso la disputa riguarda il bene più prezioso: l’acqua. L’Egitto, assieme al Sudan, sostiene che la diga costruita dall’Etiopia sul Nilo – la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), valore 4 miliardi di dollari – li potrebbe privare dell’acqua in modo sostanziale. L’Etiopia conta su quest’opera per alleviare la sua crisi. Egitto e Sudan si basano sull’accordo di condivisione delle acque del 1959, risalente all’epoca coloniale e coordinato dagli inglesi, concedeva all’Egitto il diritto a 55,5 miliardi di metri cubi di acque del Nilo, e 18,5 miliardi al Sudan. L’Etiopia, i cui altopiani rappresentano l’86% della portata del fiume, non faceva parte del trattato. Il progetto risale al 2011, già durante il primo mandato Trump aveva promesso la sua mediazione, ma non era stata sostanziale. Il 14 luglio il capo della Casa Bianca è tornato sul tema: “L’acqua del Nilo è una fonte di reddito e di sostentamento molto importante, è la vita dell’Egitto e toglierla sarebbe incredibile. Ma pensiamo che risolveremo il problema molto rapidamente”. L’Etiopia rifiuta questa lettura e ricorda che la Casa Bianca non ha menzionato un particolare: la diga non impedisce al Nilo di scorrere a valle.

La guerra dei dieci giorni tra Israele e Iran
Il 13 giugno, Israele ha lanciato i suoi raid sull’Iran eliminando leader politici, militari e scienziati impegnati nel progetto della bomba nucleare del regime sciita. Gli Stati Uniti hanno fornito appoggio militare partecipando in modo diretto, il 21 giugno, ai bombardamenti su tre siti nucleari. Il 24 giugno, Trump annuncia sul suo social Truth: “È stato pienamente concordato da e tra Israele e Iran che ci sarà un cessate il fuoco completo e totale”. In questo caso, è probabile che la decisione di partecipare ai raid abbia avuto l’effetto di accelerare la fine delle ostilità. Ma la situazione resta precaria: il vicepresidente iraniano Mohammad Reza Aref il 18 agosto ha descritto la situazione attuale non come un vero cessate il fuoco, ma come “una semplice sospensione delle ostilità”, ed ha aggiunto: “La guerra con Israele può riprendere in ogni momento”.

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Il Fatto Quotidiano

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