La storia della foodblogger Fatima e di suo figlio Abood: evacuati da Gaza, saranno curati in Italia. Le volontarie di Cocomero: “Gioia immensa”
- Postato il 15 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Sono state con il fiato sospeso per ore, coltivando la speranza sottovoce. Poi una foto scattata su un pullman in viaggio e quella conferma che aspettavano: “Fatima e suo figlio Abood sono arrivati!”. Usa il punto esclamativo Cristina Mauri, foodblogger e fondatrice, insieme alle sue colleghe Anna Panna, Sasha Carnevali e Gigi Passera, del progetto di volontariato “Cocomero”, nato con l’obiettivo di sostenere i civili di Gaza che hanno perso tutto. Nei giorni scorsi, il gruppo aveva lanciato l’appello per far arrivare Abood e sua madre, gravemente feriti a Gaza, in Italia. Il 13 agosto la famiglia palestinese è stata fatta salire a bordo di un aereo speciale dell’Areonautica militare italiana a Eilat, nel sud di Israele, e portata a Linate per ricevere le cure di cui ha bisogno. Insieme a loro, la Farnesina ha evacuato altri 30 bambini con le famiglie. In tutto circa 120 persone.
La storia di Fatima e Abood – Nella sua vita precedente, Fatima Sameer Abu Daken, 29 anni laureata in lingue, era una nota foodblogger di Gaza: raccontava le ricette tradizionali palestinesi online, in attesa di riuscire ad aprire il suo ristorante. “Prima del 7 ottobre, insieme a suo marito e a suo figlio di tre anni, viveva in una casa con una grande e bellissima cucina. Purtroppo la guerra le ha portato via tutto subito: è stata una delle prime a essere sfollata” racconta Mauri che, dopo aver conosciuto la donna attraverso i social, l’ha coinvolta in Cocomero. La famiglia di Fatima è entrata così a far parte del gruppo di palestinesi sostenuti dal progetto. Una delle ultime foto pubblicate mostrava il figlio Abood impazzire di gioia per uno spicchio di mango comprato proprio con i fondi raccolti. Un frutto che, al pari di tanti altri cibi freschi, a Gaza è diventato introvabile, praticamente oro.
L’attacco alla tenda – Nemmeno tre giorni dopo quell’immagine, nella notte tra il 31 e il 1 agosto, l’esercito israeliano ha bombardato il rifugio dove dormiva la famiglia di Fatima. La notizia è arrivata in Italia come un pugno nello stomaco. “Il 1 agosto, io e le altre autrici di Cocomero ci siamo alzate e abbiamo cominciato a fare quello che facciamo ogni mattina: contattiamo tutte le persone di Gaza che supportiamo per assicurarci che stiano bene. Fatima però non rispondeva”. Qualche ora dopo hanno scoperto che il piccolo Abood aveva una frattura alla testa e un’emorragia al fegato e aveva perso un occhio. Anche Fatima, incinta di 5 mesi, era ferita agli occhi e aveva schegge in tutto il corpo. “In questa tragedia abbiamo imparato il vero significato della parola resilienza. Dopo lo choc, ci siamo calmate e ci siamo dette che non potevamo fare altro che farli uscire dalla Striscia. Abbiamo attivato tutti i canali che avevamo, e fatto circolare l’appello ovunque. Abbiamo scritto al ministero degli Esteri, chiedendo di metterli su un volo e farli venire in Italia a curarsi”. Mauri sa bene che nella Striscia di Gaza il sistema sanitario è distrutto e al collasso. Le poche strutture ancora funzionanti sono sovraffollate, piene di feriti. Mancano le medicine, anche quelle più basilari, respiratori, attrezzature e dispositivi medici. In casi così gravi come quello di Abood, l’evacuazione sanitaria deve essere fatta al più presto e può fare la differenza tra la vita e la morte. Per questo l’Organizzazione mondiale della sanità lo ha messo in lista per l’evacuazione.
Il progetto di Cocomero – Abood ora si trova in un ospedale italiano, dove probabilmente nei prossimi giorni sarà operato. “Ci sembra tutto incredibile. Ma in tutta questa gioia – dice ancora Mauri – continuiamo a pensare a tutte le altre persone che sono rimaste lì e che hanno bisogno di cibo, medicine, cure, serenità, stabilità. Non molliamo”. La storia di Fatima e Abood dà sollievo ma è una goccia. Nella Striscia si continua a morire per le bombe e per la fame. Per questo, le raccolte di Cocomero vanno avanti (QUI TUTTE LE INFO PER CONTRIBUIRE). Il progetto ha preso forma nel 2024, dall’urgenza di fare qualcosa di concreto di fronte alla situazione catastrofica della Striscia di Gaza. “Organizzavamo già delle dirette per sensibilizzare, ma a un certo punto ho pensato che bisognava fare di più. Mi portavo dentro un sentimento di tristezza e di impotenza, non riuscivo più fare finta di niente. Così ne ho parlato con le altre e abbiamo messo insieme il gruppo. Su ispirazione da un progetto avviato da alcuni siriani per raccogliere fondi dopo il terremoto del 2023, abbiamo pensato a un libro di ricette”. Così, parecchi giorni e notti di lavoro dopo, sono nati i due ebook. Il funzionamento è semplice: per comprare il libro bisogna fare una donazione (minimo 5 euro) a una o più delle campagne di raccolta fondi attentamente selezionate dal gruppo e descritte con cura sulla piattaforma di Cocomero. Con il primo libro, uscito a ottobre, sono stati raccolti circa 50mila euro. Il secondo, intitolato “Cocomero & Friends – ricette e voci per la Palestina” è invece disponibile da circa un mese. Dentro si trovano 59 ricette tutte vegane, accompagnate da illustrazioni, fumetti, poster e da 17 scritti originali, che includono i contributi di Fatima e degli altri palestinesi coinvolti. Come quello di Jehad Al-Farra, ad esempio. È un traduttore di inglese e oggi, dopo la decima evacuazione, vive in una tenda con 19 parenti, che dipendono da questa raccolta. “Ho voluto che ci fossero le loro voci, perché una delle richieste che i palestinesi fanno di più è quella di essere visti. Chiunque stia a Gaza te lo dice. Urlano da due anni e nessuno li ascolta”. L’opera ruota intorno al cibo. Cibo che nutre, unisce e costruisce l’identità. Che diventa veicolo di ricordi per chi non ha altro che quelli. Cibo che oggi viene negato e usato come strumento di guerra. “Io mi sveglio alla mattina il mio primo pensiero va a loro, alle persone che aiutiamo. Vogliamo in tutti i modi garantirgli la dignità, una chance di vivere. Le nostre famiglie sono privilegiate: oggi avere dei soldi a Gaza significa riuscire a sfamarsi e avere le medicine per sopravvivere”. I soldi delle donazioni permettono loro di comprare farina e alimenti di base che a Gaza hanno raggiunto prezzi insostenibili. “So che non possiamo salvare tutti, facciamo quello che possiamo con coloro che conosciamo, nella speranza che presto questo orrore finisca per tutti. Nessuno merita questa vita”
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