Halloween o festa dei morti? Quando la death education passa (anche) da un dono
- Postato il 17 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ogni anno, puntuale come le zucche nelle vetrine, torna la domanda: Halloween o la Festa dei Morti? E ogni anno sembra impossibile affrontarla senza scivolare nei soliti moralismi o nelle nostalgie di un passato idealizzato.
C’è un modo diverso di guardare a questa apparente contrapposizione? Sì, un modo che intreccia educazione, memoria e bellezza, e che oggi trova nuova forza nella campagna della Fondazione TuttoèVita, guidata da padre Guidalberto Bormolini, uno dei punti di riferimento nel panorama della death education e dell’antropologia spirituale.
La campagna si intitola “I doni dei nostri morti” e nasce da un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: invece di riempire le case di scheletri di plastica e dolcetti industriali, potremmo riscoprire la tradizione siciliana di far trovare ai bambini piccoli doni simbolici, come se arrivassero dai propri defunti. Un gesto che unisce tenerezza e memoria. Un modo per tenere accesa la relazione con chi non c’è più, insegnando ai più piccoli che la morte non è sparizione, ma trasformazione.
“Trovo profondamente dannoso – afferma Bormolini – che l’unica esperienza che la modernità offre ai bambini riguardo al rapporto con chi abita l’Oltre, sia quella di mostrarlo popolato di mostri, vampiri e zombie”. Basta guardare le vetrine di questo periodo per capire quanto l’immaginario della morte sia stato svuotato: ridotto a maschere fluorescenti, scheletri di plastica, zucche sorridenti. Una farsa che consuma ciò che un tempo era sacro.
Eppure, le origini di Halloween raccontano tutt’altro. Nasce da Samhain, l’antichissima festa celtica che segnava l’inizio del nuovo anno e apriva la soglia tra il visibile e l’invisibile. Si accendevano candele, si vegliava accanto alle tombe, si narravano storie per ritrovare, almeno per una notte, chi aveva attraversato l’altra riva. Era un rito di relazione, non di paura. Un tempo in cui i vivi e i morti si riconoscevano ancora.
Oggi, invece, la morte è spesso ridotta a maschera o intrattenimento. Ci si traveste da ciò che si teme, invece di imparare a riconoscerlo. Ma come ricordano le ricerche sulla death education, i bambini possono e devono essere accompagnati a comprendere la perdita, a custodire il legame con chi è morto, a dare forma simbolica all’assenza. Ricevere un piccolo dono “dai morti” può diventare allora un gesto pedagogico e spirituale, una carezza che attraversa il tempo e ricorda che i legami non si spezzano, cambiano forma.
Così TuttoèVita invita genitori, insegnanti ed educatori a riprendere questa tradizione. Non per negare la gioia di Halloween, ma per riconnettere la festa al suo significato più profondo: la continuità tra i vivi e i morti, la gratitudine verso chi ci ha preceduto. Un pomeriggio in cui si sfogliano album di famiglia, si accende una candela, si raccontano storie, si lascia che il mistero torni a essere un luogo di intimità e non di paura.
E questo invito risuona in modo speciale proprio quest’anno, in cui il Festival Il Rumore del Lutto, che ho il privilegio di curare insieme a Marco Pipitone, ha scelto come tema “L’invisibile”. Un filo unisce queste esperienze: riconoscere che ciò che non si vede continua a esistere. La morte, la memoria, la presenza sottile di chi amiamo: tutto ciò che sfugge allo sguardo continua a parlarci, se sappiamo ascoltare.
“I nostri defunti – ricorda ancora Bormolini – sono passati dal lato invisibile della vita, ma possiamo immaginarli in un luogo dove non è possibile vederli e tuttavia ricevere ancora i loro doni”.
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