Goldoni e Casanova nel teatro di Venezia

Roma, 18 nov. 2025 – Il mio Giacomo Casanova è anche teatralità.
Un nobile seduttore che ha lo sguardo profondo e il pensiero filosoficamente elegante.
C’è nel suo “sapere” la magia del vento e le rughe del tempo.
Con Goldoni ha metaforizzato un’epoca e con essa l’ironia del tragico. Infatti…

Carlo Goldoni e Giacomo Casanova appartengono a un tempo in cui il teatro è fondamentale.
Casanova reinventa il teatro della vita.
Goldoni fu un riformatore. Riformatore o rivoluzionario del teatro?

“È maschera tutto ciò che non è la morte”, mi ha insegnato Emil Cioran.

Il teatro è una vita sulla scena, sul retroscena, sulla ribalta.
Improvvisazioni, copioni, commedia dell’arte; ambienti e personaggi.
Una recita a soggetto.
Un percorrere l’interpretazione di sé stessi tra il restare ciò che si è e il tentativo di essere altro: quello che si pensa di essere o quello che si vorrebbe essere.

Chi è stata Mirandolina?
Chi è stato Arlecchino?
Una commedia che inventa se stessa e altro.
Una commedia che esce dall’improvvisazione per recitare oltre il soggetto o con il soggetto.

Pierfranco Bruni a Monza per BookCity Milano 2025

E Ciaula?
Si può restare centomila, ma alla fine ci si accorge di essere sempre unicamente l’imperfezione della solitudine.

Carlo Goldoni nacque a Venezia il 25 febbraio 1707 e morì a Parigi il 6 febbraio 1793.
Fu il vero riformatore della commedia e del pensare il teatro?
Crea il personaggio distaccandolo dall’improvvisazione e offrendogli un copione pre-costituito.
Il personaggio diventa rottura con il Barocco.

Goldoni rompe con il teatro dell’improvvisazione e si serve della formazione dei “caratteri”, contestualizzando la scena come comico della vita.
Casanova pone se stesso nella recita.
Non siamo ancora all’ironia della recita: il contesto è illuminista, distante dalla visione romantica.

La rivoluzione illuminista è cominciata, quella francese ancora no.
Il pensiero dominante è razionale.
Il comico trionfa, non l’ironia tragica del Novecento, quella che troverà proprio in Pirandello la sua piena articolazione.
E in parte Casanova anticipa Pirandello.

Poi arriverà Vittorio Alfieri.
Il comico sembra arrestarsi per dare spazio a una nuova fase del teatro: una letteratura che fa i conti, da rivoluzionaria, con la coscienza della morte.

Goldoni ha nel comico il sarcasmo della vita, non sfugge al ridicolo né alla seduzione (si pensi a Mirandolina), che passa attraverso il riso.
Alfieri vive di tragedie e dell’enigmaticità della solitudine: “Mi disturba la morte, è vero… immaginare il mondo senza di me: che farete da soli?”.
Il comico, invece, in Goldoni è gioco: “Chi ama davvero soffre un leggier travaglio, in grazia di quell’oggetto, che piace”.

Se poniamo una stessa strategia teatrale tra soggetto e improvvisazione, tra estro dell’attore-personaggio e copione, sembra che la risultante ci conduca al teatro delle maschere che si inventano un volto.
Non al volto che indossa una maschera, come accade in Pirandello: “… ciascuno si racconcia la maschera come può… E niente è vero!”.

In fondo, Casanova è l’inventore della seduzione nella recita che sarà tipica del Novecento.

Pirandello sospende il teatro goldoniano e quello alfieriano perché apre la stagione dell’assenza e della maschera, quell’assenza che ritroviamo solo in un autore come Cioran: “Devo fabbricarmi un sorriso… imparare, insomma, a usare la maschera”.

Così Goldoni viene superato.
Si ritorna al tragico barocco dal quale egli si era distanziato, frammentando recite e strategie dell’uomo-personaggio.

La Rochefoucauld osserva: “Il mondo è composto soltanto da maschere”.
Dietro Goldoni c’è il comico; dietro Pirandello c’è il tragico del sorriso, come Nietzsche conferma: “… intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera”.

Ma il problema resta: di maschere si tratta sempre.
Arlecchino o Pulcinella.
Mirandolina o Moscarda.
La notte deve pur finire, o la “nottata”, direbbe Eduardo De Filippo.

Goldoni ha riformato il modo di fare teatro, ponendo la maschera fuori dal volto e fuori dal personaggio.
Un grande interprete della rottura barocca.
Ma il Barocco è destino della maschera: il tragico vestito d’ironia o d’umorismo.
Anche il riso goldoniano tratteggia il dolore nel sarcasmo.

Come scrive André Berthiaume: “Tutti noi indossiamo una maschera, ma arriva un momento in cui non possiamo più rimuoverla senza strapparci la pelle”.

E Mirandolina ribadisce: “Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati… voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri…”.
Una visione furbesca, quasi meta-fiabesca, che trascina maschere e personaggi nel gioco delle parti.

Goldoni fu un riformatore o un rivoluzionario del teatro?
Un forte riformatore dentro e fuori la scena, sempre però sulla ribalta.
Pirandello, invece, rivoluziona complessivamente il teatro, partendo dall’idea stessa di recita.

Tra Goldoni e Casanova c’è Venezia come teatro, un teatro in cui scena, ribalta e retroscena diventano vita.

….

Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo, direttore del Ministero dei Beni Culturali e, dal 31 ottobre 2025, membro del CdA dei Musei e Parchi Archeologici di Melfi e Venosa, nominato dal Ministro della Cultura; presidente del Centro Studi “Francesco Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.

Nel 2024 è stato Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.

Incarichi in capo al Ministero della Cultura:

Presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;

Presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;

Segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.

È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse” e presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.

Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con studi su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e sulle linee narrative e poetiche del Novecento che richiamano le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.

Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale esplora le matrici letterarie dei cantautori italiani e il rapporto tra linguaggio poetico e musica, tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

Studioso di civiltà mediterranee, Bruni unisce nella sua opera il rigore scientifico alla sensibilità umanistica, ponendo al centro della sua ricerca il dialogo tra le culture, la memoria storica e la bellezza come forma di identità.
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