Golden Dome, e se gli Usa lo estendessero anche all’Europa? Scenari e valutazioni
- Postato il 8 settembre 2025
- Difesa
- Di Formiche
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Un sistema di difesa multi-strato dallo spazio per l’intera Alleanza Atlantica che rafforzi la deterrenza dell’Occidente coinvolgendo attori da tutti i Paesi Alleati. È questa l’idea avanzata da Brian G. Chow, analista di lungo corso alla Rand Corporation e già consulente per la Casa Bianca e il Pentagono. In un recente intervento, Chow ha spiegato le ragioni di tale riflessione e immaginato i possibili vantaggi di un allargamento della Golden Dome initiative, l’ambizioso progetto di Difesa di Donald Trump, a tutti i membri della Nato. Chow sostiene infatti che l’estensione del Golden Dome all’intera Alleanza sarebbe più utile, più economico e più politicamente sostenibile di un sistema limitato unicamente al territorio americano.
Cos’è il Golden Dome
L’idea della Golden Dome nasce dalla promessa di Trump di dotare gli Stati Uniti di un sistema di difesa antimissile radicalmente innovativo, capace di affrontare non solo missili balistici intercontinentali, ma anche armi ipersoniche e da crociera. Il concetto è quello di una protezione a più livelli, basata in larga parte su una costellazione di satelliti dotati di sensori avanzati e intercettori spaziali in grado di colpire i missili nemici già nella fase propulsiva – cioè nei primissimi minuti – o in altre fasi di volo. Il progetto, che secondo le stime del Congressional Budget Office potrebbe costare tra i 161 e i 542 miliardi di dollari nel giro di vent’anni, rappresenterebbe la realizzazione delle idee avanzate già nel 1983 dalla Strategic Defense Initiative di Ronald Reagan.
Chow però sottolinea che, pur essendo concepito come strumento di difesa nazionale, un tale sistema avrebbe un potenziale molto più ampio. Poiché i satelliti orbitano intorno al globo, la parte spaziale della Golden Dome non dipende dalla superficie del territorio protetto: servirebbe sostanzialmente lo stesso numero di satelliti e intercettori per difendere solo gli Stati Uniti o l’intera area euro-atlantica. Di conseguenza, i costi del segmento spaziale rimarrebbero invariati, mentre crescerebbero proporzionalmente solo quelli delle componenti terrestri, come radar e centri di comando.
Perché allargarlo anche alla Nato
La proposta di Chow si fonda su tre ragioni principali. La prima riguarda la dimensione strategica. Una “Atlantic Dome” renderebbe ancor più concreta la clausola di difesa collettiva prevista dall’articolo 5 del Patto Atlantico, e sarebbe in grado di dissuadere Mosca dal colpire singoli Stati membri nella speranza di spaccare l’Alleanza. L’estensione a livello nordatlantico ridurrebbe infatti la tentazione di condurre attacchi limitati, potendo garantire una capacità di risposta ancora più immediata.
Il secondo aspetto riguarda l’aspetto tecnologico e industriale. L’Europa dispone già di capacità spaziali significative, che potrebbero ben integrarsi con quelle statunitensi. Dal sistema di navigazione satellitare Galileo, che già coopera con il Gps americano, fino ai programmi per la protezione delle infrastrutture orbitali, Chow sostiene che una maggiore collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico concorrerebbe a rafforzare lo sviluppo industriale dell’Alleanza tout-court. La cooperazione permetterebbe infatti di mettere in comune risorse, dati e tecnologie, migliorando la solidità della difesa e accelerando l’adozione delle soluzioni più avanzate.
Infine, c’è la questione finanziaria. Costruire il Golden Dome in solitaria comporterebbe per Washington un onere superiore di circa due terzi rispetto alla quota che dovrebbe pagare in un progetto condiviso con la Nato. Dal canto loro, gli Alleati spenderebbero meno partecipando a un’iniziativa comune piuttosto che sviluppando un sistema del tutto autonomo. Chow calcola che gli Stati Uniti dovrebbero sostenere circa il 37% del costo complessivo, mentre il resto verrebbe ripartito tra i partner europei, peraltro soddisfacendo la richiesta Usa di un maggiore sforzo da parte europea.
Il punto centrale, sottolinea l’analista, non è quindi tanto se costruire il Golden Dome, quanto più come farlo nel modo più intelligente. E per Chow, l’unica risposta sensata è allargare il progetto a tutti i membri Nato. In questo modo si ridurrebbero i costi, si moltiplicherebbero le capacità, si rafforzerebbe la deterrenza e si dimostrerebbe in modo chiaro e definitivo la coesione interna all’Alleanza.
Un’idea verosimile?
Lo scenario immaginato da Chow ha certamente più di un punto a suo favore, dalle prospettive di risparmio economico ai vantaggi in termini politici per rinsaldare la coesione interna all’Alleanza, attualmente incerta a causa delle tensioni su dazi e posizionamenti internazionali. Anche sul piano tecnologico una maggiore condivisione delle informazioni potrebbe risultare in effetti positivi per tutti i partner coinvolti, senza considerare l’aspetto produttivo. Tuttavia, una riconfigurazione del Golden Dome in chiave atlantica appare in contrasto con l’idea di Trump, che vede il suo scudo spaziale non solo come impresa da intestare a se stesso davanti all’opinione pubblica americana, ma anche come simbolo di una rinnovata supremazia militare statunitense sul mondo, capace di alterare gli equilibri propri della deterrenza nucleare per come la conosciamo. L’idea potrebbe essere ripresa nelle cancellerie europee e, magari, proposta allo stesso Trump. A quel punto, l’eventuale risposta del presidente Usa farebbe maggiore chiarezza anche sulle sue idee di lungo termine per il futuro del legame securitario transatlantico.