Gli iracheni preferivano Saddam: dalla guerra del Golfo in poi, crisi politiche e minacce dell’Isis
- Postato il 2 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Sono trascorsi 35 anni dall’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq e il successivo scoppio della prima guerra del Golfo. Un evento mediatico rilevante che segnò la nascita di un nuovo Medio Oriente con il ridimensionamento di Saddam e l’ascesa di nuovi attori. La guerra che sembrava così lontana entra dentro le case di tutta Italia. Un caccia Tornado con a bordo due militari dell’aeronautica italiana viene abbattuto. Maurizio Cocciolone e Gianmarco Bellini riescono a lanciarsi con il paracadute e vengono fatti prigionieri per poi essere liberati a fine guerra.
Il prossimo ottobre in Iraq si tornerà al voto. Due anni fa un’attenta analisi sulla popolazione irachena indicava una chiara frustrazione e delusione della popolazione nei confronti dell’attuale regime e del modo di governare in Iraq. Solo il 40% degli intervistati affermava che la situazione in Iraq era migliore rispetto al regime precedente di Saddam, rispetto al 59% che la riteneva peggiore. Questi numeri riflettono l’attuale crisi politica in Iraq e la necessità di rivedere tutti i fallimenti che hanno reso molti iracheni nostalgici del passato, non per amore di ciò che è venuto prima, ma per dispetto verso l’attuale regime.
Le Forze di mobilitazione popolare (Pmu) composte da 67 fazioni attualmente appaiono ben più che mere milizie sciite innestatesi all’interno delle forze di sicurezza irachene (Fsi). A oltre dieci anni di distanza dalla loro costituzione, esse sono divenute parte integrante di reti di potere complesse e articolate. La leadership è fortemente contesa tra fazioni allineate con l’Iran e coloro che cercano di integrarla più formalmente nelle strutture statali ufficiali.
Fayyadh è stato al centro di queste dinamiche sin dal suo insediamento nel 2016, destreggiandosi tra interessi contrastanti e mantenendo inizialmente stretti legami con le fazioni della PMU sostenute dall’Iran, come Kata’ib Hezbollah e Asa’ib Ahl al-Haq. Tuttavia, il mandato di Fayyadh è stato criticato per aver offuscato i confini tra autorità statale e potere armato informale, in particolare dopo essere stato sanzionato dagli Stati Uniti nel 2021 per presunte violazioni dei diritti umani durante le proteste anti-establishment del 2019. Nonostante gli sforzi dei vertici del Coordination Framework per minimizzare le accuse di divisione al suo interno, la portata delle speculazioni sull’estromissione di Fayyadh suggerisce che la crisi potrebbe essere reale.
Oltre però alle problematiche interne legate tra l’altro anche alla riforme, c’è l’emergenza Isis. Situato nella provincia siriana di al-Hasakah, il campo di Al-Hol, rimane una delle più critiche preoccupazioni per la sicurezza nella regione. Inizialmente creato per ospitare gli sfollati a causa della lotta contro l’Isis, si è evoluto in una struttura di contenimento per decine di migliaia di persone legate al gruppo estremista. All’inizio del 2025, le stime ufficiali indicano che al-Hol ospita circa 52.000 persone, tra cui oltre 32.000 iracheni. Sebbene 21 gruppi di famiglie siano già stati trasferiti in Iraq, circa 15.000 iracheni rimangono nel campo, insieme a 11.000 militanti.
Il governo iracheno considera al-Hol una “bomba a orologeria”. L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Qasim al-Araji lo ha descritto come “uno dei luoghi più pericolosi al mondo, dove l’ideologia estremista continua a inasprirsi”. Il campo è afflitto dalla violenza con frequenti attacchi al personale di sicurezza. All’inizio di febbraio 2025, i funzionari del Pentagono, hanno confermato i piani per un ritiro militare statunitense, avvertendo che “un ritiro americano potrebbe portare a una recrudescenza dell’Isis”.
La prima guerra del Golfo rappresentò un punto di svolta nella percezione occidentale del Medio Oriente. Da quel momento in poi, quest’area del mondo cominciò a essere vista sempre più spesso come una fonte di minaccia. Iniziò a farsi strada l’idea di un presunto “scontro di civiltà”, in cui l’Occidente si sentiva contrapposto al mondo islamico e ai regimi autoritari della regione.
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