“Gli ebrei di New York fuggano da Mamdani e vengano in Israele”: l’allarme del ministro di Netanyahu

  • Postato il 5 novembre 2025
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Le offese agli elettori ebrei che avrebbero scelto Mamdani non sono servite per arginare la vittoria del nuovo sindaco di New York, che con oltre il 50% delle preferenze ha prevalso sugli altri candidati. E ora da Israele, che ha lo ha sempre criticato per le sue posizioni pro-Pal, arrivano le dichiarazioni del ministro israeliano alla Diaspora, Amichai Chikli, secondo cui l’elezione “del sostenitore di Hamas” Mamdani “dovrebbe far riflettere la comunità ebraica residente nella città a considerare l’opzione di tornare nella Terra d’Israele”. “La città che un tempo era simbolo di libertà globale – ha scritto su X – ha consegnato le chiavi a un sostenitore di Hamas, a qualcuno le cui posizioni non sono lontane da quelle dei fanatici jihadisti che, 25 anni fa, uccisero tremila dei suoi concittadini”, prosegue riferendosi agli attacchi dell’11 settembre 2001. “Questo è un punto di svolta cruciale per la città di New York“, e “la scelta fatta da New York scuote le fondamenta stesse del luogo che ha dato libertà e opportunità di successo a innumerevoli rifugiati ebrei dalla fine del XIX secolo, un luogo che è diventato la sede della più grande comunità ebraica al mondo al di fuori di Israele“.

Da settimane Mamdani sapeva di essere il favorito, forte anche del sostegno di Barack Obama che ne ha lodato l’impressionante campagna elettorale. Anche gli ultimi sondaggi lo davano vincente, primo sindaco musulmano in una città dove gli ebrei rappresentano oltre il 12% della popolazione, la maggiore concentrazione fuori da Israele. E il primo socialista alla guida della capitale del capitalismo, la città più ricca del mondo che ospita il maggior numero di miliardari: ce ne sono 123 e valgono complessivamente 759 miliardi. Le sue posizioni rispetto alla guerra a Gaza sono sempre state molto chiare: ha accusato Israele di avere commesso un genocidio nella Striscia e ha dichiarato che avrebbe onorato un mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale nei confronti del premier israeliano BenjaminNetanyahu. Dichiarazioni condannate anche da Cuomo e Silwa, suoi rivali in campagna elettorale. Nel giorno del voto, contro Mamdani, è intervenuto anche il console generale di Israele a New York ed ex ministro del Likud Ofir Akunis, secondo cui il sindaco dem rappresenta un “chiaro e immediato pericolo per la comunità ebraica” di New York a causa del suo sostegno alle manifestazioni pro-palestinesi in città e riteneva la sua elezione una “minaccia chiara e immediata per le istituzioni ebraiche e le sinagoghe, la maggior parte delle quali sono sorvegliate dal Dipartimento di Polizia di New York”. Non è mancato nemmeno l’attacco da parte di Donald Trump che, a urne aperte, ha dichiarato: “Un ebreo che vota per Mamdani, che odia gli ebrei, è uno stupido”. Un ultimo tentativo di indirizzare la scelta degli elettori, nella speranza di fermare il candidato socialista.

Affondi pesanti che hanno infuocato gli ultimi scampoli di campagna elettorale, con i candidati ancora impegnati a corteggiare gli indecisi. Il voto a New York, così come quello che ha marcato la vittoria di Mikie Sherill in New Jersey e di Abigail Spanberger in Virginia, rappresenta anche un tassello imprescindibile per capire quale possa essere la direzione vincente per il partito democratico. Molti già vedono in Mamdani e nella sua sostenitrice Alexandria Ocasio-Cortez, la deputata pasionaria erede di Bernie Sanders, il futuro del partito. Altri invitano alla calma: New York è una città democratica all’interno di uno Stato democratico e rappresenta un caso a parte rispetto al resto degli Stati Uniti. Senz’altro il successo di Mamdani segnala la voglia di cambiamento, di facce nuove all’interno di un partito ‘troppo vecchio’ e non in grado di rappresentare più i giovani, ma non una svolta a sinistra. Di sicuro una sua vittoria, ha restituito ai democratici fiducia e ottimismo, perché segnalerebbe che Trump ha perso il suo primo test alle urne a meno di un anno dalla sua incoronazione.

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Il Fatto Quotidiano

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