Zohran Mamdani eletto a New York: vittoria netta, è il primo sindaco musulmano. La sfida a Trump: “So che ci guardi: alza il volume”

  • Postato il 5 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Negli ultimi 12 mesi, avete osato puntare a qualcosa di grande. Ora, contro ogni previsione, l’abbiamo realizzato. Il potere vi appartiene. Il futuro è nelle nostre mani”. Così ieri sera, a Brooklyn, Zohran Mamdani si è rivolto alla folla dei suoi sostenitori. A 34 anni, con oltre il 50 per cento dei voti, Mamdani è stato eletto 111esimo sindaco di New York. Il primo sindaco socialista. Il primo sindaco musulmano. Il sindaco più giovane da oltre un secolo. “Se qualcuno può dimostrare a una Nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, è la città che gli ha dato i natali”, ha aggiunto il 34enne Mamdani, parlando di “nuova era”. “Rispondiamo all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che temono – ha proseguito nelle dichiarazioni rilanciate dalla Cnn – Se c’è un modo per terrorizzare un despota è smantellare le condizioni che gli hanno consentito di accumulare potere”. Nel discorso si è anche rivolto direttamente al tycoon: “Donald Trump, so che stai seguendo, ho quattro parole: ‘turn up the volume‘ (alza il volume)”.

È battuto, umiliato, Andrew Cuomo, il principale rivale, il politico della potentissima vecchia guardia democratica, che si ferma al 41,6. Il repubblicano Curtis Sliwa supera di un soffio il 7 per cento. La vittoria di Mamdani è netta, totale. Si estende dalla quasi totalità di Manhattan alle comunità di immigrati del Bronx alle enclave operaie di Queens fino ai quartieri della nuova gentrificazione di Brooklyn. Assiste incredula la coalizione di gruppi e interessi – dai repubblicani di Donald Trump ai democratici più moderati ai ricchi e potenti di New York – che hanno fatto di tutto per fermare Mamdani e non ci sono riusciti. Si tratta di un risultato storico, impensabile fino a qualche mese fa nel centro del capitalismo mondiale, nutrito di rifiuto del vecchio establishment e di entusiasmo per una politica progressista che è tornata a discutere di vita e bisogni. Si tratta di un risultato che dà una scossa potente al partito democratico e allo scenario politico americano, ma che supera i confini nazionali. Dalla più grande città americana – una delle grandi metropoli globali – è partita una richiesta di rinnovamento della sinistra e della politica che si allunga in particolare sull’Europa.

Era dall’elezione di Barack Obama nel 2008 che nel mondo progressista americano non si assisteva a un tale entusiasmo. Quando Associated Press ha proclamato il risultato finale, la folla del Brooklyn Paramount Theatre, dove Mamdani ha tenuto il discorso della vittoria, è esplosa in un boato di gioia. I festeggiamenti si sono allargati a tutta la città. Steinway Street ad Astoria, il quartiere dove vive Mamdani, si è riempito di gente che cantava e ballava. Ancora balli e bottiglie stappate a Washington Square, il centro del Village. E a Mott Haven, porzione ispanica del Bronx, la gente si è ritrovata nelle bodegas a brindare e ascoltare Mamdani dire in TV che “New York rimarrà una città di immigrati”. Queste elezioni hanno suscitato una partecipazione raramente sperimentata nella politica cittadina. Mamdani ha potuto contare su 104 mila volontari, che nel corso di questa campagna elettorale hanno bussato a oltre tre milioni di porte. Straordinaria anche l’affluenza. Hanno votato oltre due milioni di newyorkesi. Per ritrovare così tanti elettori in un voto amministrativo, bisogna tornare a 1969.

Sono numeri che riflettono la scommessa politica della campagna di Mamdani, che ha puntato a creare una coalizione di giovani, comunità etniche, piccola e media borghesia, tenuti insieme dal messaggio di una migliore qualità della vita in una città strozzata da prezzi esorbitanti e servizi non sempre esaltanti. Mamdani ha promesso un aumento delle tasse per i più ricchi, il blocco degli affitti, servizi di bus gratuiti, la sanità universale per i più piccoli, una verifica delle strategie del Dipartimento di polizia. Le sue proposte hanno suscitato prima l’indifferenza, poi i timori, infine una reazione rabbiosa e disperata nelle classi dirigenti ed economiche cittadine. Mamdani, nato a Kampala, in Uganda, da genitori di origini indiane, deputato non particolarmente conosciuto dell’assemblea legislativa di New York, era infatti all’inizio di questa campagna un candidato senza apparente futuro. Quando la sua agenda politica – sostenuta da un magistrale controllo dei social e da un appeal personale particolarmente forte – ha cominciato a guadagnare consensi, è scattata la reazione dei poteri forti della città. Solo alle primarie democratiche, concluse lo scorso luglio, alcuni dei newyorkesi più ricchi hanno speso 20 milioni di dollari in pubblicità negativa contro Mamdani.

Non c’è stato niente da fare. Mamdani, membro dei Democratic Socialists of America, ha battuto Andrew Cuomo ed è diventato, contro le attese e i desideri del suo partito, il candidato democratico a sindaco di New York. La reazione dell’establishment di Washington è stata fredda. L’endorsement, l’appoggio di Hakeem Jeffrey, a capo dei dem della Camera, è arrivato a pochi giorni dal voto del 4 novembre. Quello di Chuck Schumer, leader del Senato, eletto tra l’altro proprio a New York, non c’è mai stato. Dopo l’arrivo dei risultati, ieri, sera, Schumer ha compilato una nota tiiepida, offrendo al nuovo sindaco “la collaborazione” dei colleghi senatori. È stato però il mondo repubblicano e quello dei grandi interessi economici e finanziari a darsi più da fare per distruggere l’avventura politica di Mamdani. Negli ultimi mesi di campagna miliardari come Joe Gebbia, cofondatore di Airbnb, Bill Ackman, manager degli hedge fund, Ronald Lauder, erede dell’impero dei cosmetici e presidente del World Jewish Congress, hanno investito decine di milioni in spot elettorali e pubblicità negativa contro Mamdani. Contro Mamdani ha poi tuonato soprattutto Donald Trump, nato e cresciuto a New York, che ha definito Mamdani “terribile”, “non particolarmente intelligente”, fino al sostegno finale alla candidatura di Cuomo (che ha accettato l’endorsement del presidente, cosa che forse, alla fine, in una città che conosce e detesta Trump, non gli è servita).

Le accuse a Mamdani “comunista”, “islamico”, “antisemita”, si sono moltiplicate nel mondo della politica conservatrice e del business. Non sono servite però a convincere un elettorato che, più che a questioni ideologiche e di schieramento, si è mostrato sensibile ai temi della sussistenza economica e di un più decente stile di vita. Gli strali dei conservatori si sono tra l’altro diretti in particolare verso Curtis Sliwa, il repubblicano di cui si è chiesto il ritiro per far convergere i suoi voti sulla candidatura di Cuomo. Il risultato finale mostra però che, anche se Sliwa avesse fatto un passo indietro, anche se tutti i suoi voti fossero finiti a Cuomo, Mamdani avrebbe comunque vinto. La campagna di accuse, delegittimazione, veleni contro il nuovo sindaco non è comunque con ogni probabilità destinata a spegnersi. Ieri sera, in un discorso particolarmente aspro, per nulla rasserenante, in cui ha riconosciuto la sconfitta, Cuomo ha detto che “l’antisemitismo non può aver voce a New York”.

Diversi gruppi ebraici, per esempio il “Combat Antisemitism Movement” hanno già mostrato di non perdonare a Mamdani affermazioni come quella di “non riconoscere Israele come Stato ebraico” e di restare quindi vigili. La copertina con cui il conservatore “New York Post” è uscito dopo la vittoria di Mamdani – una caricatura, in cui si vede Mamdani sventolare la falce e il martello, con la scritta “The Red Apple” – mostra che lo sforzo della destra per dipingere il nuovo sindaco come un pericoloso sovversivo continuerà. Sono accuse e interessi che si affollano sul futuro prossimo di Mamdani, che si ritroverà peraltro ad amministrare una delle più complesse macchine municipali al mondo senza alcuna vera esperienza amministrativa. Nel suo passato c’è solo il lavoro all’assemblea legislativa di New York e un anno come consigliere per le famiglie sfrattate del Bronx. Probabile che avrà bisogno di tempo per prendere confidenza con problemi e struttura. Probabile che saranno impietosi, e durissimi, gli attacchi che gli arriveranno dai tanti nemici. Si tratta comunque di questioni, problemi, rischi che appartengono al futuro. Il presente, per Mamdani e la gente che lo ha sostenuto, è ritrovarsi, come ha detto ieri sera il nuovo sindaco nel discorso di Brooklyn, “sulla collina rilucente di New York”.

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