Gli artisti si schierano pubblicamente per Gaza solo ora: siamo vicini alla fine del genocidio?

  • Postato il 4 luglio 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Nel giugno 2025, durante il concerto di Elisa a San Siro, Giorgia ha duettato con lei, e sullo schermo è apparsa la bandiera della Palestina con la scritta “Free Gaza”.

Nelle ultime settimane: Marco Mengoni, durante il suo concerto a Napoli, ha indossato la bandiera palestinese e ha pronunciato parole di richiesta di fermare “questa roba orribile”; Elodie ha mostrato la bandiera palestinese sul palco di San Siro, ma senza rilasciare dichiarazioni esplicite; Gaia ha sventolato la bandiera palestinese prendendola da una persona del pubblico, dicendo “siamo tutti umani e interconnessi”; mentre Vasco Rossi ha sventolato la bandiera della pace, dichiarando: “Basta con la strage di innocenti a Gaza, con tutte le guerre. Le guerre vanno bene solo a quei farabutti lì che le scatenano, che si nascondono dentro ai bunker perché sono dei vigliacchi”.

Questi episodi sollevano diversi interrogativi, e la prima domanda è: perché ora, a cascata, si espongono pubblicamente, ovviamente senza toccare Israele neanche lontanamente — per carità — si limitano a trattarla come una situazione orrenda astratta, mentre l’anno scorso, quando Ghali ha esclamato “stop al genocidio” sul palco di Sanremo, venendo sottoposto a minacce, censure, perdite di collaborazioni, gli artisti non hanno espresso solidarietà o condanne alla violenza a cui era sottoposto un loro collega?

La risposta risiede nell’intersezione tra coscienza individuale e la narrativa dei media, che dipende solo ed esclusivamente dagli interessi geopolitici.

Gli artisti hanno un enorme potere comunicativo, ma non sono liberi di usarlo come credono. Le case discografiche, i manager e gli sponsor influenzano le scelte artistiche e pubbliche, orientando le posizioni degli artisti in base a considerazioni politiche ed economiche. Ghali, ad esempio, ha denunciato pubblicamente di essere stato escluso dal concerto di Radio Italia Live a Napoli nel giugno 2024 a causa della sua richiesta di un minuto di silenzio per le vittime palestinesi durante un’esibizione, affermando di essere stato “punito” per le sue posizioni politiche.

Infatti, questi artisti ora sventolano la bandiera palestinese, ma fino a pochi mesi fa erano muti, evidenziando come esprimere solidarietà alla Palestina prima comportasse rischi professionali. Ora, invece, gli equilibri internazionali sono cambiati. Questo shift suggerisce che, quando le posizioni politiche diventano più accettabili o addirittura vantaggiose dal punto di vista commerciale, gli artisti si sentono più liberi di esprimersi. Le case discografiche e gli sponsor, in passato riluttanti a supportare una causa così scomoda in Italia, ora vedono un ritorno positivo in termini di immagine e vendite. Gli artisti hanno capito che ora la causa palestinese ha molti sostenitori e, dunque, sostenerla è vantaggioso per la loro carriera.

E da cosa deriva tutto ciò? Sì, sicuramente alcune persone si sono rese conto tardi che la situazione è troppo tragica per poter tacere, ma, per me, il fattore più rilevante è che l’alleanza tra Stati Uniti e Israele, tradizionalmente solida, ora mostra segni di fragilità. Questo sta portando a una maggiore apertura verso posizioni critiche, in quanto il terreno per poterlo fare è più fertile.

Questa è la fase di riscrittura di come sono andate le cose, tipica ogni volta che si avvicina la fine dei crimini più gravi. C’è un fuggi fuggi generale, in cui ognuno cerca di salvarsi in tempo, dipingendo Netanyahu come il colpevole unico e assoluto di tutto. Così ognuno può dire di essere stato dalla parte giusta sin da subito e andare avanti con la propria vita, convinto di non aver avuto un ruolo nel genocidio. È una strategia tipica dei momenti come questo.

Il fatto che i cantanti che prima erano zitti ora si stiano esprimendo, così come tanti altri personaggi famosi, significa che stiamo arrivando verso la conclusione del genocidio e la definizione delle responsabilità di chiunque avesse il potere di agire, e tutti vogliono salvarsi in tempo.

L'articolo Gli artisti si schierano pubblicamente per Gaza solo ora: siamo vicini alla fine del genocidio? proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti