Giustizia, confronto serrato fra il procuratore e il presidente della Camera penale di Crotone

  • Postato il 19 maggio 2025
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Giustizia, confronto serrato fra il procuratore e il presidente della Camera penale di Crotone

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Intervista al procuratore al presidente della camera penale di Crotone su riforma della giustizia e maxiprocesso: accusa e difesa distanti


CROTONE – Un confronto serrato sui problemi della giustizia. È quello che abbiamo stimolato sentendo il procuratore capo di Crotone, Domenico Guarascio, e il presidente della Camera penale, Aldo Truncè.

Accusa e difesa restano distanti, soprattutto sui temi della riforma Nordio e sui maxiprocessi. Ma c’è un punto su cui sembrano tutti d’accordo. I cittadini si aspettano processi più rapidi e maggiore trasparenza dell’azione giudiziaria. Obiettivi che, forse, anche le riforme perdono di vista.

 La riforma della giustizia presenta una pluralità di contenuti. Uno dei temi più controversi è quello della separazione delle carriere. In che misura ritiene che inciderà sulla dinamica del processo?

G.: «La separazione delle carriere non inciderà in alcun modo sulla dinamica del processo. Non è una riforma che serve ad accelerare il processo. Serve semplicemente a definire in maniera costituzionale l’unitarietà della magistratura nella sua forma giudicante e requirente, prevedendo carriere separate per il giudice e il pubblico ministero. Dal punto di vista delle regole processuali non ci sarà alcun cambiamento. Si aggiunge questa petizione di principio, suggerita da una certa opinione pubblica e da una certa politica, per la quale il fatto che il pubblico ministero abbia una carriera separata dal giudice significa che fuori dal processo non si parleranno. Come se pubblico ministero e giudice oggi si parlassero e fossero legati da un criterio di colleganza a detrimento delle parti private. Si dice che se si disunisce la carriera, nel senso che pm e giudice non fanno corsi di formazione insieme, non seguono le stesse regole di progressione della carriera, non eleggono gli stessi rappresentanti, il giudice farà meglio il giudice e il pm farà meglio il pm. Cosa che non è provata, anzi è smentita da diversi studi. Nel senso che un pm intriso di cultura della giurisdizione è più capace di guardare agli interessi delle parti. L’azione penale verrà esercitata sempre da un pm che disporrà di polizia, carabinieri, finanza, e ha quindi un bagaglio diverso. Quindi, un pm che non sappia di giurisdizione come fa a decidere cosa archiviare e cosa portare a processo? Questo è il tema».

T.: «La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri rappresenta un cambiamento potenzialmente significativo nella dinamica del processo. Attualmente, la comune provenienza e la condivisione della cultura possono, in alcuni casi, generare una certa osmosi tra la funzione inquirente e quella giudicante. Questo rischia di compromettere quella piena terzietà e imparzialità del giudice che è un pilastro fondamentale del giusto processo. La separazione delle carriere potrebbe rafforzare la distinzione dei ruoli. Un giudice proveniente da un percorso professionale autonomo e distinto da quello del pm potrebbe approcciarsi al processo con una maggiore distanza critica nei confronti delle tesi accusatorie. Questo potrebbe tradursi in un maggiore scrutinio delle prove presentate e in una più rigorosa applicazione del principio dell’onere della prova a carico dell’accusa. Tuttavia, è fondamentale che questa separazione sia accompagnata da adeguate garanzie di autonomia e indipendenza per entrambe le figure. Un pm eccessivamente dipendente dall’esecutivo o un giudice privo di strumenti per esercitare un effettivo controllo sull’operato dell’accusa potrebbero vanificare i potenziali benefici della riforma. L’auspicio dell’avvocatura è che la riforma miri a rafforzare l’effettiva parità delle armi nel processo, garantendo un contraddittorio più autentico e una decisione finale scevra da preconcetti o influenze indebite».

 Si tratta di una riforma della magistratura o contro la magistratura?

G.: «Si tratta di una riforma che a me non piace. Sicuramente è una riforma della magistratura che non si confronta apertamente con i veri problemi della magistratura, che non sono quelli di carriera o di progressione della carriera, tra l’altro affrontati recentemente dalla riforma Cartabia. In Italia si rischia di fare una serie di riforme, l’una di seguito all’altra, senza che la prima abbia potuto dispiegare i suoi effetti. Quando si fa una riforma, gli effetti vanno visti nell’arco di cinque, dieci anni. Non è una riforma che riguarda la magistratura in senso migliorativo, perché non prevede l’ampliamento degli organici, scoperti in modo evidente».

T.: «Definire la riforma “contro” la magistratura appare una semplificazione eccessiva e potenzialmente fuorviante. È innegabile che alcuni aspetti della riforma, come la separazione delle carriere o le modifiche al sistema di valutazione dei magistrati, suscitino preoccupazioni e resistenze all’interno della categoria. Tuttavia, è importante valutare l’impatto sul funzionamento della giustizia nel suo complesso. L’avvocatura si pone come interlocutore costruttivo, evidenziando le criticità che potrebbero pregiudicare i diritti della difesa e l’equità del processo. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di “punire” o “indebolire” la magistratura, ma di individuare soluzioni condivise per rendere la giustizia più efficiente. Una riforma imposta e percepita come ostile rischia di generare tensioni e di non raggiungere i risultati sperati».

 I penalisti calabresi protestano contro i maxi processi contestandone addirittura “l’uso propagandistico”. Dall’altra parte gli inquirenti intendono contrastare strutture criminali tanto più pericolose quanto più articolata e complessa è la serie di reati fine e delle reti di connivenze…

G.: «L’attacco dei penalisti al maxiprocesso può scontare una certa predisposizione culturale.  Cosa voglio dire?  Che necessariamente il maxiprocesso contiene in sé possibili insidie, non solo per le parti, ma anche per il giudicante e per l’organizzazione della macchina giustizia. Il maxiprocesso si modella e si struttura in base all’organizzazione criminale che si intende colpire. E non è stato inventato in Calabria. Era pane quotidiano delle Procure siciliane ai tempi in cui si è aggredita Cosa Nostra. Evidente che organizzazioni criminali complesse postulino una pluralità di affiliati e di reati fine. Non credo che a Bologna, quando si è instaurato il maxi processo Aemilia, vi era l’idea di sopraffare i diritti costituzionalmente garantiti di ogni singolo imputato. L’avvocato può intravedere delle difficoltà rispetto alla gestione del maxiprocesso, ma queste difficoltà esistono anche per il pm che lo istruisce e per il giudice che va a giudicare. Una narrazione partigiana delle vicende serve evidentemente a nascondere la complessità dei problemi».

T.: «L’avvocatura penalista comprende la complessità della lotta alla criminalità organizzata e la necessità di strumenti efficaci per contrastarla. Tuttavia, la gestione dei maxi processi solleva questioni delicate che non possono essere ignorate, soprattutto in relazione al rispetto dei diritti degli imputati e alla tenuta del sistema giudiziario. Le preoccupazioni espresse dai penalisti calabresi riguardo all’“uso propagandistico” dei maxi processi meritano attenzione. È fondamentale che la giustizia, pur perseguendo obiettivi legittimi di contrasto alla criminalità, non ceda a logiche di spettacolarizzazione o di anticipazione del giudizio di colpevolezza. Il processo penale deve rimanere un luogo di accertamento rigoroso dei fatti e di garanzia dei diritti individuali, anche in contesti di criminalità complessa. La complessità delle indagini e la pluralità degli imputati nei maxi processi pongono sfide significative in termini di organizzazione processuale, di rispetto dei tempi ragionevoli e di effettività del diritto di difesa. Rischiano di verificarsi situazioni in cui la mole del materiale probatorio e il numero elevato di posizioni processuali rendano difficile per i difensori esercitare appieno il proprio mandato e per i giudici valutare con la dovuta attenzione le singole posizioni. L’avvocatura non contesta la necessità di contrastare efficacemente la criminalità organizzata, ma auspica che ciò avvenga nel pieno rispetto dei principi del giusto processo, evitando generalizzazioni e garantendo che la responsabilità penale sia sempre accertata individualmente e sulla base di prove solide e specifiche per ciascun imputato. È necessario trovare un equilibrio tra l’esigenza di contrastare la criminalità e la tutela dei diritti fondamentali».

Quali miglioramenti della giustizia attendono i cittadini?

G.: «Innanzitutto la definizione celere dei procedimenti e la trasparenza dell’azione giudiziaria. Questo dovrebbe comportare un maggiore investimento di risorse in sistemi capaci di informatizzare, ma realmente, il processo penale. Non come sta accadendo oggi con il processo penale telematico che è stato imbastito in fretta e furia per ottenere i fondi Pnrr ma ha un’impiantistica ancora deficitaria. Ci sarebbe da migliorare il sistema delle notifiche o da eliminare momenti processuali che hanno dato prova di inutilità. Alcuni moduli procedimentali come l’udienza preliminare, ad esempio, sono stati rimaneggiati più volte, ma in assenza di un numero di giudici sufficiente rischiano di diventare inutili orpelli. Se si carica l’udienza preliminare del vaglio di verifica dell’utilità o meno di un dibattimento, il giudice che deve esaminare un numero elevato di procedimenti sarà tentato di passare la palla per la definizione del procedimento alla successiva fase dibattimentale. Così si allungano i tempi. E si innesca una vera e propria tagliola. Perché con la riforma Cartabia se il procedimento d’appello non si conclude in due anni l’azione penale diventa improcedibile, lasciando quindi sul tappeto le ragioni delle vittime e magari anche degli imputati. Questo non è democratico né costituzionalmente orientato. Mentre i cittadini attendono questi miglioramenti, battaglie ideologiche e narrazioni di parte non tengono conto della complessità dei problemi della giustizia».

T.: «I cittadini attendono dalla giustizia, in primo luogo, efficienza e ragionevole durata dei processi. Un sistema giudiziario lento e farraginoso mina la fiducia nella sua capacità di fornire risposte tempestive ed efficaci. Ciò implica una maggiore digitalizzazione, una semplificazione delle procedure e un investimento nelle risorse umane e materiali della giustizia. In secondo luogo, i cittadini si aspettano una maggiore trasparenza e comprensibilità del sistema giudiziario. Il linguaggio giuridico spesso oscuro e le procedure complesse possono allontanare i cittadini dalla giustizia. È necessario un impegno per rendere il sistema più accessibile e comprensibile, garantendo una maggiore informazione sui propri diritti e sulle fasi del processo. Un altro aspetto fondamentale è la certezza del diritto e l’uniformità delle decisioni. Sentenze contraddittorie o interpretazioni divergenti della legge possono generare incertezza e minare la fiducia nella giustizia come sistema equo e prevedibile. Infine, i cittadini si aspettano maggiore attenzione alla tutela dei diritti delle vittime e un sistema in grado di fornire risposte adeguate ai loro bisogni di giustizia e di riparazione. Un miglioramento della giustizia passa anche attraverso un rafforzamento delle garanzie del giusto processo e del diritto di difesa. Un sistema che non assicura pienamente il rispetto dei diritti degli imputati non è un sistema pienamente giusto, neanche per le vittime».

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