Giuseppe e il gelato a due euro nel cuore di Roma: “Mi immedesimo nelle famiglie italiane”

  • Postato il 29 ottobre 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Mi immedesimo in loro, nelle famiglie. Quelle che vogliono prendersi un gelato, sono magari in cinque e non possono spendere venti euro. Qui con dieci una famiglia fa una pausa a basso prezzo. E di alta qualità”.

Giuseppe, 64 anni portati benissimo, non è uno che si dà arie. Calmo, parla piano, con una leggera timidezza. La sua gelateria, semplice, antica, senza luci “sparate” e maxi coni messi all’esterno, si trova a Roma, in un quartiere molto turistico adiacente al Colosseo, il Celio. Volendo, dunque, potrebbe fare come tutte le gelaterie aperte come funghi nella capitale negli ultimi anni, dove un cono non costa meno di 3,5 euro e spesso va ben oltre, anche 5. Qui, invece, è possibile prendere un gelato con panna con soli due euro. “I turisti non ci fanno caso, sono abituati a prezzi alti nei loro paesi, dove hanno stipendi migliori, e prendono quelli grandi. Invece gli italiani chiedono quasi sempre quello da due. Li senti commentare ‘è giusto uno spuntino dopo pranzo’, oppure ‘prendiamo piccolo se no dopo non mangi’, ma si capisce che spesso non vogliono o non possono spendere di più”.

Tenere i prezzi bassi sarebbe relativamente facile abbassando la qualità. Invece Giuseppe ci tiene a precisare che lui, il gelato, non lo fa con le bustine né con il latte il polvere. Fa vedere la macchina – “queste costano anche 15 o 20.000 euro” –, mostra il laboratorio dove il gelato viene fatto. “Compro almeno cinquanta litri di latte al mese in autunno, in primavera-estate anche ottanta a settimana. Poi ci sono le uova, lo zucchero, la panna. E purtroppo i prezzi sono cresciuti tantissimo, un tempo un litro di latte costava 70 centesimi, ora spendo 1.30”. Poi c’è l’affitto, ovviamente, l’energia e le bollette, anche mille euro al mese. “Se al gelato di due euro levo tutto questo, poi anche il costo del cono, dei tovaglioli, oppure della coppetta e del cucchiaino, anche se sono centesimi, resta poco”. Ci sono, ovviamente, anche le tasse, oltre all’1.2 per cento da pagare per ogni transazione con la carta. “Ma devi anche sperare che non ti rompa il frigorifero o una macchina”, dice Giuseppe, mostrandomi un pezzo di motore rotto.

Se le materie prime crescono sempre di più, e non si vuole fare un gelato “finto”, come si fa a “proteggere” il gelato low cost per le famiglie? Giuseppe lo spiega tranquillo, partendo dal Covid. “Per noi il Covid è stato un lungo incubo. Lo Stato ci ha imposto di chiudere ma non ci ha consentito di sospendere i contratti di affitto. Così abbiamo dovuto pagare senza alcuna entrata. Inoltre, le fatture sospese sono state spostate solo in avanti. Quando abbiamo riaperto per molti mesi tutto ciò che guadagnavo lo mettevo per saldare quello che dovevo ancora essere pagato”. Ma anche con la ripresa dei consumi, per Giuseppe non è stato possibile tornare come prima, quando aveva una persona dipendente solo per fare il gelato e una, sua figlia, per aiutare a servire. Oggi c’è solo lui. Fa il gelato, lo serve, pulisce il locale. Inizia la mattina verso le undici e finisce verso le nove in inverno, le undici d’estate. Sette giorni su sette, perché il gelato si mangia sempre. Neanche un giorno di riposo? Lui non si scompone. “È così. Poi certo se una volta voglio portare a cena fuori mia moglie posso chiudere prima, ma il giorno dopo ho i clienti che mi sgridano, ‘abbiamo trovato chiuso!’”.

Tra un paio d’anni Giuseppe potrebbe andare in pensione – nella vita ha fatto tanti lavori, soprattutto nel settore della telefonia – e chissà chi arriverà dopo di lui. “Spero che resti il gelato a 2 euro. Perché anche noi italiani e residenti abbiamo diritto a una pausa con i nostri figli, senza che ci venga l’ansia. Roma”, conclude, “non può essere solo per i turisti”.

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Il Fatto Quotidiano

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