Giuseppe Berto con la volontà del dubbio e l’accadere oltre Freud

Micol Bruni

Giuseppe Berto è uno scrittore robusto. Ha innovato sapendo di proseguire una tradizione che è quella ancorata a Gabriele d’Annunzio. Il romanzo del 1964, che ha segnato un modello centrale, inimitabile e fondante, fa da cerniera non solo nel percorso bertiano ma in tutto il contesto narrativo del Novecento e oltre.
Quel “male oscuro” ha mutato l’approccio con la scrittura sia sul piano percettivo sia in termini di rapporti tra il personaggio, l’io narrante e lo scrittore. Ha posto al centro dell’avventura umana lo sdoganamento dello stesso “io”. Anzi ha spezzato lo sdoppiamento.
Non si tratta soltanto di una visione psicologica o di una scrittura “flusso” come più volte è stato affermato. Piuttosto di un raccontare a se stessi il non raccontabile agli altri tranne se se gli altri non siano parte unica del se stessi. Un flusso di scrittura non è un “flusso di coscienza”. La scrittura è altro da sé rispetto alla coscienza? Direi in parte di si. Elemento importante ma che non risolve la questione tra l’io e la scrittura.
Anche nelle “libro segreto” d’Annunzio diventa rivelazione. Così in Berto. Il Berto rivelante lega quelle “opere di Dio” con il fatto glorificante di Giuda. In mezzo c’è proprio il romanzo del 1964. “Il male oscuro” mette in archivio ogni forma di presunto realismo e si innesca una “rivolta”. Ecco, più che flusso direi che si possa trattare di rivolta di coscienza perché non è facile o semplice mettere a nudo la coscienza.

Giuseppe Berto (Mogliano Veneto, 27 dicembre 1914 – Roma, 1º novembre 1978) è stato uno scrittore, drammaturgo e sceneggiatore italiano


La nudità dell’essere è la appropriazione della coscienza stessa. Scrive Berto: “…il Super-Io di Freud ha qualche punto di contatto con la coscienza comunemente intesa ossia con quella cosa che ci rimorde dopo che abbiamo commesso il male, però il Super-Io sembra differire dalla coscienza nel senso che è molto più attivo nello sbarrare la strada al male e molto più severo nel censurarlo quando non è riuscito a tenerlo fuori, ma soprattutto differisce nel fatto che mentre la coscienza non si spiega come nasca o la si gratifica di una origine metafisica, il Super-Io si sa benissimo come nasce e si può dire che sia il risultato di una progressiva introiezione delle privazioni imposte dalla realtà ma soprattutto dagli educatori…”.
Freud c’entra veramente? Mi sorgono alcuni dubbi. Con Freud o senza Freud il “male oscuro” ci sarebbe stato comunque. Perché quella insostenibile “leggerezza dell’essere” che diventa la supremazia dell’essere stesso è già insito nel primo Berto. Basterebbe rileggere i suoi testi iniziali. Il personaggio è il superamento dello scrittore nel momento in cui diventa un insuperabile io, ovvero inseparabile con la scrittura stessa. Ma la scrittura cosa è? È il linguaggio vero dell’anima.
Anima mente corpo cuore. Tutto ciò è nel sottosuolo del ricordo. Un ricordo che ha come centro la memoria. Berto sa di contare sulla memoria. Tutto il suo narrare è profonda memoria. È appunto un ricordare.
Ci dice ancora Berto in modo diretto: “Insomma ciò che importa raggiungere è una serena valutazione di sé stesso nei confronti della realtà, cosa tuttavia più facile da dire che da fare dato che velocemente cambiamo noi e insieme ovverosia contemporaneamente cambia anche la realtà la quale poi è costituita da infinite cose in perenne mutamento e inoltre da alcuni milioni o miliardi di individui ognuno in rapida trasformazione e impegnato nel correre dietro per conto suo alla mutevole realtà, sicché questo mondo sarebbe proprio una bella girandola da matti se non intervenisse l’arte del compromesso che sarebbe poi la rinuncia alla pretesa di fare cose perfette che com’è noto non sono di questo mondo e facilmente neppure dell’altro”.
Cercare la perfezione è un dubbio che riguarda l’uomo e la scrittura stessa. Con questo dubbio bisogna costantemente fare i conti. Berto li ha fatti i conti? Certamente conti incompiuti. Come tutti i grandi scrittori che non cercano ma rimangono nell’attesa che qualcosa possa e debba accadere.
L’accadere è un archetipo che intreccia il vissuto con il presente. Il presente esiste fino a quando c’è un vissuto da raccontare. Così è. Così è stato in Berto. Un viaggio indelebile che segna non solo lui ma la letteratura moderna che ha un senso. E di senso è fatto il romanzo di Berto.
Tutto il narrare di Berto a cominciare dalle dimensioni oniriche sino a quel Giuda che vibra il male e il bene, la colpa e il peccato, le voci e i silenzi, ovvero la vita e la morte. Giuseppe Berto e con Berto in un accadere della vita oltre Freud e con la volontà del dubbio.

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