Geghard, il monastero scolpito nella montagna che racconta l’anima più antica dell’Armenia
- Postato il 20 dicembre 2025
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- Di SiViaggia.it
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Nel cuore dell’altopiano armeno, a est della capitale Yerevan, esiste un complesso religioso che riesce a fondere pietra, spiritualità e territorio in maniera radicale. Parliamo del magnifico Monastero di Geghard, luogo di culto che appare all’improvviso alla fine di una strada che segue il corso del fiume Azat, che a sua volta è chiusa da pareti rocciose verticali che sanno emozionare.
Come è possibile intuire da queste prime righe, l’impatto visivo è immediato anche perché emerge un’assenza di separazione tra architettura e montagna. Pare quasi, infatti, che la geologia stessa sia stata trasformata in spazio sacro. Oggi Geghard rappresenta uno dei massimi esempi di architettura monastica medievale armena, al punto che questo insieme eccezionale ha portato al riconoscimento come Patrimonio Mondiale da parte dell’Unesco (assegnato sia al complesso sia alla valle circostante).
Breve storia del Monastero di Geghard
La tradizione armena fa risalire l’origine del complesso al IV secolo, nel periodo immediatamente successivo alla conversione del regno al cristianesimo. Secondo il racconto tramandato, fu San Gregorio l’Illuminatore a individuare una grotta già oggetto di venerazione in epoca precristiana. Come fece? Grazie alla presenza di una sorgente perenne considerata sacra.
Fu quindi così che quel luogo venne trasformato in centro di culto cristiano predendo il nome di Ayrivank, espressione che in armeno indica il monastero della grotta e che sottolinea il legame profondo tra spiritualità e ambiente naturale.
Le fasi successive furono segnate da violente distruzioni. Incursioni arabe prima e attacchi turchi in seguito portarono alla perdita delle strutture originarie, insieme a manoscritti e reliquie di grande valore. Soltanto nel XII secolo il sito conobbe una vera rinascita, favorita dall’ascesa della dinastia Zakaride e dal legame politico con la corona georgiana. In questo contesto, nel 1215 venne costruita la chiesa principale di Katoghike, destinata a diventare il fulcro architettonico del complesso.
Pochi decenni dopo, il principe Prosh Khaghbakian trasformò Geghard in un luogo di sepoltura, affidando la realizzazione di cappelle rupestri, tombe monumentali e spazi destinati allo studio e alla vita religiosa. Fu in questa fase che il monastero assunse il nome attuale, legato alla lancia venerata come reliquia della Passione di Cristo.
Tra periodi di abbandono e successive riprese, la vita monastica proseguì nei secoli, trovando una nuova stabilità con l’ingresso dell’Armenia nell’Impero russo e culminando negli importanti interventi di restauro del Novecento.
Cosa vedere oggi
Prima ancora delle singole strutture, Geghard colpisce il visitatore per l’organizzazione spaziale che sfrutta la morfologia naturale. Pareti verticali proteggono il complesso su più lati, mentre il restante perimetro risulta chiuso da mura difensive medievali.

Katoghike, la chiesa principale
La cattedrale, il cui nome in lingua originale è Katoghike, emerge come volume libero appoggiato alla montagna. Costruita in blocchi di basalto scuro, possiede una pianta che segue lo schema a croce inscritta, con cupola poggiata su tamburo quadrato. Prestando attenzione si possono osservare diversi rilievi decorativi che raffigurano leoni, uccelli, maschere e motivi vegetali. Il portale meridionale, invece, sfoggia un leone che sovrasta un toro, emblema di autorità principesca.
Gavit, la sala d’incontro
Accostato alla chiesa, Gavit fungeva da spazio comunitario, didattico e di accoglienza. Anch’esso scavato in parte nella roccia, mostra quattro pilastri centrali che sostengono una copertura articolata e una cupola che presenta una decorazione a stalattiti. C’è anche un’apertura circolare grazie a cui entra della luce naturale che contribuisce a generare un’atmosfera raccolta e solenne.
Avazan, il santuario della sorgente
Avazan è un ambiente interamente intagliato e anche la culla della famosa sorgente sacra che diede origine al culto. Presenta una pianta cruciforme e una cupola a archi intrecciati che dialogano armoniosamente con l’acqua che stilla dalla roccia. Non mancano motivi vegetali incisi lungo le pareti, i quali richiamano simboli di fertilità.
Mausoleo dei Proshyan
Un articolato insieme funerario, il cui nome è Mausoleo dei Proshyan, accoglie le tombe della famiglia principesca. Bassorilievi profondi raffigurano leoni, aquile, draghi e figure umane, dando vita a una narrazione araldica di potere e continuità. A lasciare a bocca aperta è la presenza di una testa di ariete incatenata tra due felini, ovvero un’immagine di origine precristiana reinterpretata in chiave dinastica.
Cappella di San Gregorio Illuminatore
Infine la bellissima Cappella di San Gregorio Illuminatore che è situata sopra l’accesso principale. È antichissima e presenta una struttura rettangolare con abside a ferro di cavallo. Con sguardo curioso si possono scorgere tracce di intonaco colorato che rivelano una decorazione pittorica perduta. All’esterno, invece, numerosi khachkar ricavati dalla roccia testimoniano secoli di devozione popolare.
Come arrivare dall’Italia
Il punto di accesso principale risulta l’aeroporto internazionale di Yerevan, raggiungibile tramite voli con scalo dalle principali città italiane. Dalla capitale armena, Geghard dista circa 40 chilometri verso sud-est. Il tragitto da intraprendere segue una strada asfaltata che attraversa villaggi rurali e paesaggi montani fino alla gola dell’Azat.
Il trasferimento può avvenire tramite automobile privata, taxi oppure minibus diretti verso Goght, con successivo tratto finale lungo la valle. Spesso la visita viene associata al Tempio di Garni, distante pochi chilometri, in modo da creare un itinerario che unisce spiritualità cristiana e architettura ellenistica. L’accesso al complesso avviene liberamente, permettendo una visita approfondita all’interno di uno dei luoghi simbolo dell’identità armena.
Tempio di Garni
Il Monastero di Geghard è assolutamente sorprendente, ma non è di certo da meno il Tempio di Garni: costituisce l’unico esempio conservato di architettura ellenistica di epoca romana nel Paese. Prende vita su un promontorio roccioso che domina la gola del fiume Azat, in una posizione strategica scelta tanto per il valore simbolico quanto per quello difensivo.
La struttura risale al I secolo d.C. ed è generalmente associata al re Tiridate I che lo fece edificare come santuario dedicato al dio del Sole, Mihr. Oggi presenta una pianta rettangolare circondata da un colonnato perimetrale di ordine ionico, chiaramente ispirato ai modelli greci e romani. Le proporzioni sono armoniose e rigorose e il basalto locale, lavorato con grande precisione, conferisce all’edificio una solidità austera a sua volta mitigata dalla raffinatezza dei capitelli e delle cornici.
Distrutto da un terremoto nel XVII secolo, venne ricostruito nel Novecento attraverso un accurato lavoro di anastilosi (una particolare tecnica di restauro archeologica).