Gaza, l’appello del figlio di Barghouti su La7: “Trump imponga a Netanyahu la liberazione di mio padre”

  • Postato il 28 ottobre 2025
  • La7
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Con il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas, cresce tra i palestinesi la domanda su chi possa guidarli verso l’indipendenza. Il nome più evocato è quello di Marwan Barghouti, 66 anni, storico leader di Fatah, protagonista della prima e della seconda Intifada e figura di enorme popolarità a Gaza e in Cisgiordania, dove il suo volto campeggia su murales e manifesti.
Barghouti, spesso definito il “Nelson Mandela palestinese” per il suo potenziale di unire i palestinesi e spingere per la pace, è visto da molti, anche in Occidente, come l’unico uomo capace di unificare le fazioni palestinesi e di condurle verso una soluzione politica basata su due popoli e due Stati.
Prima del suo arresto, Barghouti aveva collaborato con parlamentari israeliani della Knesset per elaborare un piano di pace realistico. Anche dal carcere, nel 2006, riuscì a far firmare a Fatah, Hamas e Jihad islamica il “Documento dei prigionieri”, che accettava i confini del ’67, limitava la resistenza ai Territori occupati e vietava attacchi ai civili.
Tuttavia, Israele lo considera un terrorista: nel 2004 un tribunale militare israeliano lo ha condannato a cinque ergastoli per aver pianificato attacchi in cui morirono cinque israeliani, accuse che lui ha sempre respinto come parte di un “processo farsa”. È detenuto da 23 anni e in isolamento da 3 anni, ma la sua influenza politica e simbolica non si è mai spenta.

Ospite di Otto e mezzo, su La7, il figlio Arab Barghouti ribadisce il messaggio del padre: la pace è possibile solo ponendo fine all’occupazione e riconoscendo il diritto dei palestinesi a vivere liberi e uguali.
Da tempo Arab Barghouti denuncia le violenze subite in carcere dal padre: poche settimane prima di uno dei tanti pestaggi, lo scorso agosto il ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, esponente dell’estrema destra israeliana con un passato di condanne per incitamento al razzismo e sostegno a gruppi terroristici, ha visitato la cella di Barghouti, filmando e pubblicando un video in cui lo deride. Secondo Arab, durante l’incontro il ministro gli ha mostrato una foto di una sedia elettrica, minacciando: “Questo è il tuo destino. Questo è il tuo futuro”.

Intervistato da Lilli Gruber, Arab Barghouti si esprime anche sulle recenti dichiarazioni del presidente statunitense Donald Trump, che in un’intervista del 15 ottobre, a proposito del possibile rilascio di Marwan Barghouti, ha affermato di “stare valutando seriamente l’ipotesi di fare pressione su Israele” affinché lo liberi, nonostante il governo israeliano escluda categoricamente la sua inclusione in qualsiasi scambio di prigionieri.
“Spero che Trump voglia imporre a Netanyahu di liberare mio padre – osserva Arab Barghouti – Ho molta speranza che qualcuno tra i leader occidentali lo farà. Se si vuole davvero porre fine a questo ciclo di violenza, ciò potrà accadere solo quando finirà l’occupazione e quando noi palestinesi otterremo i nostri diritti e la nostra libertà. Perché questo accada, serve un leader forte e credibile tra i palestinesi, e bisogna impegnarsi giorno e notte affinché mio padre sia tra queste persone”.

E aggiunge: “Sono davvero felice che, oltre agli americani, anche molti governi occidentali si stiano finalmente rendendo conto che serve un leader di questo tipo per i palestinesi. Il problema, però, resta ovviamente con gli israeliani”.
A proposito della credibilità del padre, Arab ricorda che il “Documento dei prigionieri” è “l’unico documento sottoscritto da tutte le fazioni palestinesi fino a oggi”.
“Mio padre – ribadisce – è una persona con un dottorato in Scienze politiche ed è senza dubbio il leader più credibile in Palestina“.

Alla domanda di Lilli Gruber sul motivo per cui Netanyahu teme così tanto Marwan Barghouti, Arab risponde che il padre rappresenta un interlocutore politico credibile, in grado di costringere Israele a negoziare realmente la pace: “Mio padre incarna una voce importante, è il leader palestinese più popolare e, soprattutto, una figura unificante. Netanyahu non vuole unità, assolutamente. Una Palestina unita porterebbe unità, sicurezza e stabilità a tutta la regione: questo lo sappiamo. Inoltre, una visione politica come quella di mio padre, fondata sulla soluzione dei due Stati, non è ciò che Netanyahu desidera. Lo ha detto chiaramente: vuole la supremazia di Israele su tutta quella terra, non certo una soluzione a due Stati. Ecco perché preferisce leader che sostengano la sua posizione, non la nostra”.

Quando la giornalista gli chiede quanti palestinesi oggi non mettano in dubbio il diritto di Israele a esistere, Arab Barghouti definisce questa insistenza “un’ossessione dell’Occidente”: “Israele esiste già e sta distruggendo i palestinesi con un regime di apartheid, anche se molti lo negano. A Hebron ci sono strade dove io non posso camminare solo perché sono palestinese. Sono nato a Gerusalemme, eppure non posso entrarci da 25 anni, mentre lei può andarci liberamente. Quindi la domanda non è se i palestinesi accettano Israele o credono nel diritto della sua esistenza, ma: quando finirà questa occupazione illegale dei territori palestinesi?“.

E conclude: “Servono nuove elezioni, serve votare, serve eleggere una leadership credibile. Dopo tutti i traumi che i palestinesi hanno subito negli ultimi decenni (perché tutto questo non è iniziato il 7 ottobre), sappiamo che il 90% della sofferenza ricade su di noi, non sul lato israeliano. Bisogna interrompere questo ciclo di violenza e costruire un sistema accettato da tutti. La comunità internazionale sostiene la soluzione dei due Stati: noi la sosteniamo, mio padre la sostiene. Ma ciò potrà avvenire solo se ci sarà un leader forte come mio padre, capace di rappresentare il popolo palestinese davanti al mondo“.

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