Gaza, la strage senza fine dei giornalisti palestinesi: 238 quelli uccisi da Israele. “Crimini di guerra”
- Postato il 11 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Cento chilometri. Tanto ieri ha diviso il destino dei giornalisti di Gaza da quello dei colleghi provenienti dal resto del mondo. L’ultima strage di reporter palestinesi, dilaniati da un attacco dell’esercito israeliano alla loro tenda posizionata davanti all’ospedale di Shifa, è avvenuta proprio nello stesso giorno dell’incontro tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e la stampa straniera a Gerusalemme, per illustrare la nuova operazione militare nella Striscia. Sei ore dopo quella ordinata conferenza stampa, a circa cento chilometri di distanza, l’esercito israeliano ha ucciso il noto volto di Al-Jazeera, Anas Al-Sharif, il collega Mohammed Qreiqeh, il fotoreporter Mohammed Al-Khaldi e tre cameraman, Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa. La loro morte va ad allungare una catena di massacri di operatori dell’informazione di cui non si vede la fine. Secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, dal 7 ottobre 2023 a oggi sono 238 i cronisti che hanno perso la vita a causa dei bombardamenti israeliani. Cifre non distanti dal calcolo di altre realtà: Reporter Senza Frontiere (Rsf) ne conta quasi 200, di cui 45 colpiti mentre erano al lavoro (i numeri si differenziano a seconda dei criteri di calcolo usati e dei tempi di raccolta dei dati).
Un numero che non ha precedenti nella storia e che in 22 mesi di guerra è andato a crescere senza sosta settimana dopo settimana. Gaza oltre a essere il posto più pericoloso del pianeta dove fare il giornalista (la definizione è sempre di Rsf) si è trasformato in un cimitero dell’informazione. Un report di aprile realizzato dal Watson Institute for International and Public Affairs, intitolato The cost of war, evidenzia come la guerra a Gaza abbia “ucciso più giornalisti di quella civile americana, dei due conflitti mondiali, della Guerra di Corea, del Vietnam (inclusi i conflitti in Cambogia e Laos), delle guerre in Jugoslavia negli anni ’90 e 2000 e di quella in Afghanistan dopo l’11 settembre messe insieme”. I giornalisti locali, si legge nel report, “non solo corrono grandi rischi, trovandosi soli di fronte a una violenza straordinaria, ma ciò compromette anche la copertura mediatica e, di conseguenza, l’ecosistema informativo mondiale”.
Alla stampa straniera, Netanyahu ha promesso che aumenterà gli inviti per entrare nell’enclave e lavorare “sotto il controllo” dell’esercito. Senza specificare ulteriori dettagli. Fino a oggi, Israele ha negato ai giornalisti internazionali l’ingresso libero e indipendente alla Striscia di Gaza. Gli unici servizi dentro l’enclave sono stati realizzati embedded, cioè al seguito dell’Idf, e sotto censura militare. I soli a fare informazione dalla Striscia sono quindi i reporter nati e cresciuti a Gaza. Hanno permesso al mondo di vedere gli effetti della fame sui bambini, hanno raccolto le voci e il dolore della popolazione palestinese stremata e martoriata, e le loro immagini riempiono i media di tutto il mondo. Eppure lavorano in condizioni drammatiche, senza alcuna tutela, spesso sotto minaccia dell’esercito e con il peso di accuse di terrorismo che in molti casi si sono trasformate in esecuzioni senza processo, come nel caso di Al-Sharif. Patiscono la fame e la sete come tutti gli altri civili, convivono con la mancanza di medicine e infrastrutture. Sono sfollati, spesso lontani dalle proprie famiglie, dotati di attrezzature non adeguate e nella continua ricerca di rete ed elettricità per poter inviare i materiali.
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli appelli per fermare la strage e aprire i confini di Gaza ai media internazionali. “Prendere deliberatamente di mira i giornalisti è un crimine di guerra e i leader israeliani devono essere ritenuti responsabili delle loro azioni atroci” ha commentato il Segretario generale della Federazione internazionale dei giornalisti, Anthony Bellanger. “Condanniamo con la massima fermezza l’uccisione deliberata dei nostri colleghi e siamo solidali con tutto il personale di Al Jazeera e con i nostri colleghi che lavorano a Gaza in circostanze così inaccettabili” . Dall’ottobre 2023, la Federazione sta raccogliendo le prove degli attacchi ai giornalisti palestinesi da parte di Israele, con lo scopo di presentare una denuncia alla Corte penale internazionale. Secondo la Federazione, è inoltre fondamentale che i governi adottino una convenzione internazionale vincolante, che garantisca la sicurezza e l’indipendenza dei professionisti dei media. “Gli Stati membri delle Nazioni Unite devono sostenere una convenzione vincolante a livello Onu. Questa convenzione dovrebbe proteggere i giornalisti e garantire la responsabilità degli autori di crimini contro i giornalisti”, ha detto Bellanger. I giornalisti “non devono mai essere presi di mira in tempo di guerra”, denunci il Commitee to protect journalist (CPJ), realtà che ha sede a New York e che fin dall’inizio dei raid a Gaza raccoglie i nomi e le storie dei cronisti uccisi. “I giornalisti sono civili” e attaccarli “è un crimine di guerra“, ha ribadito Jodie Ginsberg, la direttrice della ong. A sostegno dei reporter palestinesi, in Italia è stata lanciata una campagna che si chiama Alziamo la voce per Gaza. Promossa dall’Ordine dei giornalisti insieme al gruppo Operatori dell’informazione per Gaza, Rete No Bavaglio e Usigrai, ha ottenuto l’adesione di 450 cronisti e croniste e 30mila euro di donazioni.
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