Gaza, Hamas rifiuta i colloqui per la tregua
- Postato il 7 maggio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Gaza, Hamas rifiuta i colloqui per la tregua
Niente colloqui per la tregua: è la risposta del gruppo terroristico Hamas alla scelta di Israele di occupare interamente la Striscia di Gaza
Martedì Hamas ha dichiarato che in questa fase i negoziati per una tregua a Gaza non sono più di interesse e ha invitato il mondo a fare pressione su Israele affinché ponga fine alla “guerra della fame”, dopo l’annuncio da parte del governo israeliano di un piano di “conquista” del territorio palestinese.
“Non ha senso impegnarsi in negoziati o esaminare nuove proposte di cessate il fuoco finché nella Striscia di Gaza continueranno la guerra della fame e la guerra di sterminio”, ha dichiarato all’agenzia di stampa AFP Bassem Naïm, membro dell’ufficio politico del movimento islamista palestinese. “Il mondo deve fare pressione sul Netanyahu affinché ponga fine ai crimini della fame, della sete e delle uccisioni” a Gaza, si legge nella dichiarazione.
Mentre Trump si dirige verso il Golfo, il gabinetto di sicurezza israeliano si divide sul piano di “conquista” di Gaza.
Alcuni collaboratori del primo ministro Benjamin Netanyahu si battono per un’operazione limitata a Gaza, volta ad aumentare la pressione militare su Hamas, mentre i ministri di estrema destra chiedono la riconquista dell’intera Striscia.
Israele si sta preparando a prendere il controllo dell’intera Striscia di Gaza. C’è chi all’interno dell’amministrazione israeliana ritiene che l’obiettivo debba essere quello di annetterne il territorio e chi invece ritiene che si intenda solo mostrare i muscoli nel pressante tentativo di costringere Hamas a liberare tutti gli ostaggi israeliani che ha anche nelle proprie mani da 577 giorni.
“Finalmente occuperemo la Striscia di Gaza. Smetteremo di avere paura della parola “occupazione'”, aveva dichiarato lunedì ai partecipanti a una conferenza l’esponente israeliano della linea dura, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, con queste parole: “Non ci ritireremo dai territori che abbiamo conquistato, nemmeno in cambio di ostaggi. L’unico modo per ottenere la liberazione degli ostaggi è sottomettere Hamas. Una volta che avremo occupato la Striscia, ci rimarremo e potremmo parlare di sovranità”, ha dichiarato l’intransigente leader del partito “Sionismo Religioso”.
L’operazione “Chariots of Gideon” come soprannominata, comporterà il richiamo di decine di migliaia di riservisti, massicci trasferimenti di popolazione palestinese in zone sicure designate e la distruzione di edifici e rovine dove si sospetta la presenza di terroristi di Hamas. Netanyahu e i suoi ministri di estrema destra sostengono che questo sia l’unico modo per schiacciare l’organizzazione terroristica palestinese, per eliminare la minaccia che rappresenta per Israele e per ottenere l’inafferrabile “vittoria definitiva” che hanno a lungo promesso alla popolazione.
Gli oppositori, tra cui le angosciate famiglie dei 59 ostaggi tenuti da Hamas a Gaza, ritengono che l’intensificarsi degli attacchi metta a rischio la vita dei circa 24 rapiti che si ritiene siano ancora vivi e dei soldati israeliani inviati a combattere una guerra guidata in gran parte dai falchi che ora dominano la politica interna.
Ma le dichiarazioni roboanti di Smotrich e di altri esponenti dell’estrema destra non indicano necessariamente una completa occupazione israeliana della devastata enclave palestinese. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che sarà in visita in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar la prossima settimana, probabilmente cercherà di ridimensionare le ambizioni territoriali dell’estrema destra israeliana.
Osservatori vicini al governo israeliano ritengono che nessuno a Gerusalemme pensa davvero trasformare in un incubo sanguinoso il tour di Trump in Medio Oriente da dove il presidente USA vuol assolutamente tornare in patria con un successo. Dunque il bellicismo dei ministri di destra non dovrebbe essere preso troppo sul serio. Riteniamo che occorra prestare attenzione a ciò che viene detto, o non detto, tra le righe. Il presidente americano punta al Premio Nobel per la Pace e dunque farà in modo da impedire un bagno di sangue nella Striscia. Trump nel febbraio scorso aveva già dato disco rosso all’intenzione di Netanyahu di attaccare i siti militari e nucleari dell’Iran.
Israele è anche profondamente turbato dalle dimissioni volute da Trump del consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, presumibilmente per aver avuto colloqui non autorizzati con Netanyahu sul bombardamento degli impianti nucleari iraniani. Netanyahu aveva pubblicato una smentita dettagliata e ufficiale dell’articolo del Washington Post sulle ragioni della mossa di Trump, apparentemente nel tentativo di proteggere Waltz, su cui lui e i suoi collaboratori contavano per ottenere il via libera al bombardamento dell’Iran.
La posizione di Trump su Gaza non è chiara. Le sue precedenti minacce ad Hamas per l’ottenimento del rilascio degli ostaggi sembrano essere cadute nel dimenticatoio. Così come il suo sogno immobiliare di trasferire altrove i circa 2 milioni di residenti di Gaza e di sviluppare lì una riviera mediterranea.
Intervenendo lunedì scorso a Washington, in occasione di un evento celebrativo del 77° anniversario dell’Indipendenza di Israele, l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, affermava che gli Stati Uniti credono ancora che gli ostaggi vadano liberati, ma non “a scapito” del mantenimento di Hamas come forza armata. A questa dichiarazione vaga e non vincolante seguiva la promessa di importanti novità “presto” riguardo l’ampliamento degli “Accordi di Abramo”.
Trump spera che l’Arabia Saudita aderisca all’accordo di normalizzazione del 2020 da lui progettato tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco, verso la fine del suo primo mandato. Ma un’offensiva militare israeliana diffusa e sanguinosa nella Striscia di Gaza non sarebbe di buon auspicio per la visione di pace regionale di Trump, con l’abbondanza di armi e accordi immobiliari apparentemente già in corso.
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