Garlasco, Sempio e il suo team al Laboratorio Genomica di Roma: “Impronta 33? Siamo tranquillissimi”
- Postato il 20 novembre 2025
- Giustizia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Proseguono le indagini difensive nell’ambito dell’inchiesta della procura di Pavia sul delitto di Garlasco in cui Andrea Sempio è indagato. Oggi Sempio, che è stato ospite a Porta a Porta, èa Roma con il suo team al Laboratorio di Genomica di Roma. “Un confronto per avere ulteriori certezze? Quello è l’obiettivo” ha dichiarato ai giornalisti a Sempio, accompagnato dall’avvocata Angela Taccia, dove si è riunito con il resto del team legale che lo assiste. “Ho già detto tutto ieri sera”, ha detto ancora il 37enne, indagato per l’omicidio di Chiara Poggi per cui è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi.
“Sogno forse l’oblio, di cercare di tornare alla normalità, ma vedremo quanto sarà possibile. Finché si tratta di lanciare suggestioni o buttare fango la macchina dei media si impegna parecchio…Se non fosse per l’assalto dei media io non ho paura, non mi vergogno di girare per strada. È un peso avere gli occhi addosso, ma io non ho nulla per cui io mi devo nascondere”. Come è noto dopo una doppia archiviazione, da qualche mese è di nuovo sotto i riflettori ma la sua versione non cambia.
E fuori dall’incidente probatorio ancora in corso – nessuna impronta trovata nella villetta di via Pascoli è riconducibile all’indagato – l’elemento di novità investigativo è l’impronta 33 trovata sulla parete destra della scala dove fu gettato il corpo della vittima. Una traccia priva di sangue che la procura di Pavia attribuisce a Sempio e per cui la parte civile ha chiesto di procedere con l’incidente probatorio, però negato dalla Procura. “Ho molti dubbi che sia attribuibile a me. L’abbiamo fatta controllare più volte (dai consulenti, ndr) e ho dubbi. Anche fosse non trattandosi di una traccia insanguinata, ma semplicemente di un’impronta sul muro può essere, non mi stupirebbe. Non andavo spesso in cantina ma penso di esserci stato 3-4 volte” ricorda. Per Sempio, che continua a proclamarsi estraneo, quello di Chiara Poggi è stato, per le modalità, “un delitto passionale, un delitto d’impeto”, quanto a Stasi – che la Cassazione indica come il solo assassino della giovane – “tutta la sua vicenda è stata giudicata da persone più competenti di me“.
Gli elementi contro di lui, sentito per la prima volta subito dopo il delitto (come tutti gli amici del fratello della vittima), poi nel 2008 quando consegna lo scontrino del parcheggio di Vigevano sono sempre gli stessi dal 2017 quando le indagini difensive di Alberto Stasi, l’allora fidanzato della ventiseienne condannato in via definitiva a 16 anni per il delitto, puntano su lui. “Quello che mi stupisce è che non sono l’unico che ha portato qualcosa” quando viene sentito dai carabinieri. “C”è chi ha portato altri scontrini, c’è chi ha portato il passaporto, chi le timbrature del lavoro, chi i movimenti del bancomat” ha spiegato a Bruno Vespa ricordando di aver conservato il tagliando vista l’attenzione intorno all’omicidio. Sulle tre telefonate fatte una settimana prima sul fisso di casa Poggi, il 38enne le spiga una per una. Quella che dura due secondi è un errore, nella seconda – non riuscendo a contattare Marco in vacanza con i genitori in Trentino – telefona “per sapere se c’era e mi viene detto di no. Riprovo a contattare Marco e non riesco, a quel punto il giorno dopo chiamo consapevolmente casa Poggi e chiedo quando sarebbe tornato. Da lì in poi non chiamo più. Quello che ho fatto io l’ha fatto anche un amico di Giuseppe Poggi”.
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