Garlasco, è scontro sull’«impronta 33»: per i consulenti di Sempio e della famiglia Poggi «non è attribuibile»
- Postato il 3 luglio 2025
- Di Panorama
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Un’impronta, una guerra tra perizie. Nel caso Garlasco, a quasi vent’anni dal delitto di Chiara Poggi, tutto ruota attorno a una traccia rimasta per anni sullo sfondo: la cosiddetta «impronta 33».
Per la Procura è la firma del killer. Per i consulenti della difesa e della famiglia della vittima, è invece una traccia inutilizzabile, priva di valore probatorio.
Nell’inchiesta bis sul delitto di Garlasco, l’impronta «33» è al centro dello scontro tra accusa e difese. Per la Procura di Pavia, guidata da Fabio Napoleone, si tratta di un elemento chiave: sarebbe l’impronta lasciata dall’assassino e, in particolare, da Andrea Sempio, l’amico di Marco Poggi unico iscritto nel registro degli indagati (per ora). La corrispondenza con il palmo di Sempio – secondo gli esperti dei Ris di Roma Gianpaolo Iuliano e Nicola Caprioli – sarebbe confermata da «15 minuzie» palmari compatibili.
Di parere opposto sono i legali di Sempio, Angela Taccia e Massimo Lovati, che hanno affidato una consulenza all’ex comandante dei Ris, Luciano Garofano, e al dattiloscopista Luigi Bisogno. Secondo la loro perizia, la traccia «33» è «non comparabile» e dunque «non può essere attribuita» al loro assistito. Alla base di questa conclusione, il fatto che i punti realmente confrontabili sarebbero soltanto «5» e non 15, rendendo scientificamente debole qualsiasi identificazione.
La stessa posizione è condivisa anche dalla famiglia Poggi. I loro legali, Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, hanno presentato una consulenza tecnica redatta da Dario Redaelli e dal dattiloscopista Calogero Biondi, che conferma i dubbi sulla validità dell’impronta: «Nel frammento in esame non c’è sufficiente nitidezza, non c’è distinzione tra cresta papillare e solco. Tra le 15 minuzie segnate solo 7/8 hanno caratteristiche qualitative appena sufficienti per essere confrontabili». Inoltre, osservano i consulenti, «nella parte alta della traccia 33 è presente una minuzia non evidenziata dai consulenti tecnici e non presente sulla palmare assunta all’indagato». A rendere ancora meno rilevante il reperto, il fatto che «la posizione non sarebbe significativa in quanto facilmente raggiungibile per chiunque impegnasse la scala».
L’impronta «33» era già stata al centro delle analisi condotte nel 2007 dai Ris di Parma, che la definirono «di nessuna utilità» perché «completamente priva di creste potenzialmente utili per gli accertamenti dattiloscopici». Una conclusione oggi radicalmente ribaltata dalla Procura, che invece la ritiene uno dei due pilastri della nuova inchiesta, insieme alla presenza del DNA di Sempio sotto le unghie di Chiara Poggi.
Secondo gli inquirenti, l’impronta sarebbe stata lasciata dal killer subito dopo aver gettato il corpo della giovane giù per le scale della cantina. E, indipendentemente dal fatto che sia o meno visibile del sangue, viene considerato «impossibile» che quella traccia risalga a un momento precedente al delitto.
Sempio, in alcune recenti interviste, ha dichiarato di frequentare «anche» il seminterrato della casa dei Poggi, spiegando che scendeva «per prendere i giochi da tavolo» insieme a Marco.
I legali della famiglia Poggi – da sempre critici verso le nuove indagini – hanno chiesto alla Procura di includere la valutazione dell’impronta 33 nell’incidente probatorio che riprende il 4 luglio, anche per approfondire la questione della presenza o meno di sangue sulla traccia. Richiesta però respinta: secondo i pm, l’esame delle impronte è un accertamento ripetibile, e la «33» non rientra tra quelle oggetto dell’incidente.
Agli atti manca ancora la consulenza dei difensori di Alberto Stasi, Giada Bocellari e Antonio De Rensis, i cui esperti sono ancora al lavoro. L’obiettivo è dimostrare che l’impronta avrebbe potuto essere stata impressa nel sangue, prima che venisse trattata con il reagente dai Ris, compromettendo così eventuali esiti probatori: «inibendo» di fatto il campione.