Fucili in spiaggia, spari di notte e controlli più difficili sul bracconaggio: Lollobrigida stravolge così la legge sulla caccia
- Postato il 17 maggio 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Si potrà sparare nelle spiagge. Addirittura Regioni e ministero dell’Agricoltura avranno la facoltà di ridurre le aree protette a favore di quelle in cui sarà possibile cacciare. Si riaprono i roccoli e si liberalizzano i richiami vivi, favorendo il bracconaggio e il traffico illecito di avifauna. Si apre alla caccia senza regole nelle aziende faunistico-venatorie con il riconoscimento della licenza ai cittadini di Paesi esteri: in pratica la natura viene svenduta e diventa il parco giochi dei ricchi, italiani e stranieri (vi ricordate il caso di Trump jr che uccise specie protette nella Laguna veneta?). Francesco Lollobrigida aveva promesso di riformare la 157/92, la legge per la protezione della fauna selvatica e il prelievo venatorio, trasformandola nella legge che antepone la caccia alla tutela della biodiversità. E così sta facendo: un ribaltamento netto della norma introdotta 33 anni fa e, soprattutto, dell’articolo 9 della Costituzione. IlFattoQuotidiano.it lo aveva anticipato lo scorso novembre: Fratelli d’Italia si è intestata la battaglia per liberalizzare la caccia senza controlli, superando (a destra) la Lega, e ora è pronta a presentare il disegno di legge – collegato alla legge di Bilancio – per stravolgere la 157/92 nel prossimo Consiglio dei ministri. L’ennesimo favore alla lobby del mondo venatorio e a quella degli armieri, capaci di assicurare decine di migliaia di voti a ogni tornata elettorale.
CHI CI PERDE – IlFatto.it ha potuto visionare, in anteprima, il ddl. A pagare le spese maggiori di questa riforma sono, innanzitutto, gli animali. La fauna selvatica non viene più vista come un patrimonio della collettività da preservare (secondo la legge è patrimonio indisponibile dello Stato) ma, di fatto, viene considerata come proprietà di chi pratica un’attività ludica – la caccia – ora definita “attività sportivo-motoria con importanti ricadute” sociali, culturali ed economiche (articolo 1, comma 2) che “concorre alla tutela della biodiversità e dell’ecosistema” (articolo 1, comma 1). Uno stravolgimento della realtà che mira a rendere ogni misura a favore della caccia come coerente con i principi costituzionali. Da questo punto di vista, la nuova legge – se entrasse in vigore così com’è scritta – liberalizzerebbe le peggiori pratiche contro l’avifauna. Gli articoli 4 e 5, così come da modifica, permettono la riapertura dei roccoli, gli impianti di cattura vietati dall’Unione europea che, in passato, aveva aperto una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese proprio contro questa pratica. Non solo: vengono estese le specie da utilizzare come richiami vivi, l’ergastolo a cui gli uccelli sono condannati per “richiamare” i propri simili a cui il cacciatore spara; si passa da sette a ben 47 specie. In più si elimina ogni limite di possesso di volatili provenienti dall’allevamento. Tutte misure che rendono impossibili i controlli da parte dei forestali e che favoriscono il bracconaggio e il già fiorente traffico illecito di avifauna. Infine vengono rimossi i limiti al numero di autorizzazioni regionali per la creazione di nuovi appostamenti fissi di caccia (per la gioia, soprattuto, delle doppiette lombarde).
Ma, naturalmente, la riforma targata Lollobrigida danneggia anche l’uomo (danneggiando la biodiversità, va da sé), e in particolare le persone che frequentano boschi, oasi, campagne e – attenzione – spiagge. Sì, perché l’articolo 10, comma 6, stabilisce che d’ora in avanti si potrà cacciare “nei territori e nelle foreste del demanio statale, regionale e degli enti pubblici in genere”. Finora aree protette: un grave svantaggio per escursionisti, cercatori di funghi, ciclisti e camminatori (e sì, per chi se lo stesse chiedendo, le spiagge sono molto ambite, specialmente dai bracconieri, per l’avifauna marina e quella migratrice). Ma a proposito di aree protette: lo stesso articolo introduce l’obbligo per le Regioni di verificare – entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge – la percentuale di territorio protetto “riportandola all’interno dei limiti previsti se superati”, considerando il 30% del territorio protetto di una regione come limite massimo e, addirittura, prevedendo un potere sostitutivo del ministero dell’Agricoltura (e non di quello dell’Ambiente) in caso di inadempienza. Tutto ciò si pone in contrasto con gli obiettivi assunti dall’Italia, in sede europea, che prevedono il raggiungimento del 30% – minimo – di territorio protetto entro il 2030. In definitiva, le aree in cui si potrà cacciare aumenteranno a dismisura. “Questo testo è frutto dell’arroganza ideologica di un mondo ormai in mano a estremisti che per mezzo di politici compiacenti fa la guerra ai basilari principi del diritto costituzionale ed europeo” commenta Domenico Aiello, avvocato e responsabile tutela giuridica della natura per il Wwf e tra i massimi esperti, in Italia, di tutela della fauna selvatica. “Dopo avere progressivamente ridotto le tutele degli animali, anche beneficiando di situazioni critiche di cui sono diretti responsabili, adesso impongono per legge una visione della caccia del tutto fuori dalla realtà e lontana dal sentire comune, in nome della quale autorizzano un’occupazione delle aree naturali, che sono patrimonio di tutti, danneggiando un settore economico sostenibile in pieno sviluppo e ampliando enormemente le vessazioni, gli abusi e lo sfruttamento che gli animali già subiscono, senza avere la decenza di prevedere nemmeno un minimo rafforzamento delle misure di contrasto al bracconaggio“.
ADDIO ISPRA, ADDIO SCIENZA – Sempre l’articolo 10 inserisce un nuovo aspetto da Far West. È semplice e suona così: le gare di caccia con cani e l’addestramento di cani con abbattimento di fauna selvatica non sono considerati esercizio venatorio e possono essere fatte sia a caccia chiusa sia di notte. Con due gravi conseguenze: il disturbo di specie durante i delicati periodi della nidificazione (su questo punto abbiamo già una procedura d’infrazione per la violazione della Direttiva Uccelli); e l’aumento del rischio di atti di bracconaggio (o di uccisioni involontarie di specie protette). Ma si potrà cacciare al di fuori dei consueti – e fissati per legge – periodi di caccia anche nelle aziende faunistico-venatorie, “previa valutazione d’incidenza”. Una scelta politica, questa, coltivata da tempo da una delle branche di Coldiretti, l’associazione Agrivenatoria Biodiversitalia, che sta promuovendo proprio la caccia privata in aziende nelle quali è possibile creare enormi introiti economici e che diventano attrattive per persone facoltose – italiane o straniere che siano – grazie all’assenza di regole e controlli. Vedere Trump jr nella Laguna veneta che uccide una casarca.
All’articolo 18 viene eliminato il parere vincolante di Ispra, l’organo indipendente e scientifico per la protezione dell’ambiente, nell’adozione dei piani venatori delle Regioni. Al suo posto, viene introdotto il parere del Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale, un organo direttamente controllato dal ministero dell’Agricoltura e di nomina politica. Lo stesso articolo apre alla possibilità di estendere l’attività venatoria anche in primavera, in piena migrazione prenuziale e dunque in contrasto – di nuovo – con la Direttiva Uccelli.
L’ITER E LA FRETTA DELLA DESTRA – Lollobrigida lo ha detto chiaro e tondo, nei giorni scorsi, intervistato dal presidente di Federcaccia, Massimo Buconi: “La legge va cambiato entro agosto“. Perché entro agosto? Perché a settembre parte la stagione venatoria. A inizio maggio, peraltro, una nuova grana ha colpito il mondo venatorio (e, di conseguenza, la politica che ne coltiva gli interessi): il Tar della Lombardia – su ricorso della Lac – ha stabilito il divieto di caccia assoluto e immediato nei 475 valichi montani della regione, tagliando fuori migliaia di appostamenti fissi per l’avifauna, specialmente nel Bresciano e nella Bergamasca. Una sentenza che, potenzialmente, fa da apripista ad altre regioni. E siccome la Regione Lombardia, nonostante lo zelo di Giunta e consiglieri-cacciatori, può fare poco prima di settembre, ecco che interviene il governo. E la sentenza è presto aggirata: il divieto di caccia rimane solo su quelli “situati in una zona di protezione istituita in data antecedente al primo gennaio 2025″. Tradotto: solo in zone protette antecedenti alla sentenza.
È da quando è iniziata la legislatura che la destra tenta in ogni modo di stravolgere la legge sulla caccia, liberalizzandola. Il primo tentativo, riuscito, è stato l’emendamento Foti (Tommaso, l’attuale ministro per gli Affari europei) che ha aperto l’attività venatoria in aree protette e urbane, a qualsiasi ora del giorno. Poi c’è stato quello maldestro – e subito cassato – di Bartolomeo Amidei di FdI, con la proposta, che sollevò numerose polemiche, di dare il fucile in mano ai 16enni. Qualche mese dopo è stata la volta della Lega, col disegno di legge a prima firma di Francesco Bruzzone, iniziativa fallimentare che si è scontrata sia contro l’opposizione parlamentare (M5s, in testa, e Avs) sia contro quella delle associazioni animaliste e ambientaliste (il Fatto Quotidiano raccolse più di 50mila firme, poi consegnate in Parlamento, per fermare il ddl). Ma non va dimenticato come lo stesso governo (leggi, Fratelli d’Italia) stoppò il Carroccio, bocciando gli emendamenti al decreto Agricoltura che riproponevano pari pari il disegno di legge Bruzzone.
E ora? L’escamotage di legare la riforma della caccia al collegato ambientale della legge di Bilancio garantisce a FdI priorità nella trattazione in Parlamento del nuovo disegno di legge. L’obiettivo è di chiudere la partita già a fine luglio o al massimo a inizio agosto, prima della pausa estiva. Col rischio che vengano eliminate le audizioni – in primis, quelle delle associazioni – e che i tempi vengano contingentati.
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