Fu tra gli stragisti di via d’Amelio, permesso premio al boss Tinnirello. Ma la procura di Milano blocca tutto
- Postato il 18 maggio 2025
- Mafie
- Di Il Fatto Quotidiano
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Aveva ottenuto sei ore di permesso premio. Ma la procura di Milano si è opposta alla decisione del giudice di Sorveglianza ed è riuscita a bloccare il provvedimento. Il boss Lorenzo Tinnirello, dunque, è rimasto in carcere. Non ha mai collaborato con la giustizia e continua a custodire il segreto sui personaggi esterni a Cosa Nostra che collaborarono alla strage di via d’Amelio. Fedelissimo dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Tinnirello fu tra gli esecutori della stragi del 1992: faceva parte del gruppo di uomini scelti per prepare l’esplosivo. Per questo motivo sta scontando l’ergastolo nel carcere di Opera a Milano.
Come racconta il giornalista Salvo Palazzolo sull’edizione palermitana di Repubblica, da qualche tempo intrattiene una corrispondenza con alcuni docenti: “Sto pagando a caro prezzo un errore di valutazione giovanile“, ha scritto. Per dimostrare di essere cambiato, ha cominciato a donare trenta euro al mese a un’associazione religiosa. Un atto che ha spinto il giudice di sorveglianza di Milano a concedergli un permesso premio di sei ore. Ma il procuratore Marcello Viola e la pm Alessandra Cerreti si sono opposti, facendo ricorso al tribunale. E il collegio presieduto da Giulia Turri ha dato ragione alla procura, sottolineando che per ottenere un permesso premio non basta una “mera dichiarazione di intenti” , ma è necessario “porre in essere azioni particolarmente pregnanti e significative che denotino un’effettiva e concreta presa di distanza dalle organizzazioni criminali di appartenenza, che rivelino un’autentica rielaborazione critica delle drammatiche conseguenze che le azioni delittuose hanno avuto sulle vittime e sull’intera collettività”.
Tinnirello, invece, per i giudici sembra avere un atteggiamento “a tratti vittimistico“: “Ero giovane e mi affascinavano le stesse cose che affascinavano i giovani di oggi: le sfide, le prove di coraggio, la trasgressione e tutto ad un tratto ti trovi ad un punto in cui non puoi più tornare indietro e il carcere è stata la logica conseguenza”, scrive in una delle sue lettere. Per quanto concerne la mancata collaborazione con la giustizia, il tribunale annota come Tinnirello la giustifichi con “la volontà di proteggere i familiari da dinamiche criminali”. Eppure di cose da raccontare ne avrebbe Renzo ‘u turchiceddu, cioè il piccolo turco, appellativo legato alla sua carnagione scura. Per esempio potrebbe dare qualche elemento in più sull’uomo che partecipò alla preparazione dell’autobomba usata per uccidere il giudice Paolo Borsellino. È stato il pentito Gaspare Spatuzza a raccontare di aver portato la Fiat 126 in un garage di via Villasevaglios a Palermo. “Dista 850 metri dalla strada dove fu ucciso Borsellino con i poliziotti. Quel sabato pomeriggio, c’erano già Renzino Tinnirello e Ciccio Tagliavia, loro si occuparono di imbottire l’auto di esplosivo. C’era anche una terza persona”, ha detto il collaboratore di giustizia nel 2008. Chi era quella terza persona? “Non era un ragazzo, né un vecchio, doveva avere 50 anni. Non l’avevo mai visto prima, né lo vidi dopo quella volta. Di certo non era di Cosa nostra“. Chissà se Tinnirello ricorda chi fosse quel soggetto estraneo alla mafia che era presente alla preparazione dell’autobomba usata per uccidere Borsellino.
Tinnirello non è l’unico boss stragista che ha provato ad avere dei permessi premio. Altri due uomini dei Graviano, infatti, hanno ottenuto di uscire dal carcere per alcune ore per svolgere attività socialmente utili. L’ultimo in ordine di tempo Salvatore Benigno, condannato all’ergastolo per le stragi del 1992: di tanto in tanto, l’ormai 57enne lascia il carcere di Opera. Benigno è l’uomo che azionò il telecomando in via Fauro, dove Cosa Nostra cercò di assassinare Maurizio Costanzo. In carcere da un trentennio, si è laureato in Medicina e per i giudici è un detenuto modello. Anche Giovanni Formoso è considerato un bravo carcerato: ogni mattina lascia il carcere di Secondigliano, a Napoli, per andare a lavorare in un istituto religioso di Scampia. Sta scontando pure lui una condanna all’ergastolo, per aver caricato l’autobomba poi usata nella strage di via Palestro, a Milano: 5 morti il 27 luglio del 1993. Tinnirello, Formoso e Benigno hanno anche un’altra cosa in comune: non hanno mai collaborato con la giustizia.
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