Femminicidio: reato autonomo punito con l’ergastolo
- Postato il 8 marzo 2025
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Il Quotidiano del Sud
Femminicidio: reato autonomo punito con l’ergastolo
Il disegno di legge varato dal Consiglio dei ministri: il delitto di femminicidio è reato autonomo e sarà accompagnato dalla pena massima, l’ergastolo
Può la creazione di una nuova fattispecie di reato, il delitto di femminicidio, accompagnata dalla pena massima, l’ergastolo, porre un argine a questo fenomeno odioso, a questa scia di sangue che macchia indelebilmente il corpo sociale, di fronte al quale le misure finora messe in campo si sono rivelate spuntate? La prospettiva di un ergastolo può “disarmare” la mano omicida alzata contro una donna?
Può davvero servire da deterrente o assolvere a una funzione di prevenzione?
Sono tante le domande di fronte al varo in Consiglio dei ministri del disegno di legge che, alla vigilia della Giornata internazionale della donna, introduce il delitto di femminicidio come reato autonomo, fortemente voluto dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per dare un segnale forte dell’impegno del governo nella lotta al fenomeno, e contro la violenza di genere e – per usare le sue parole messe nero su bianco in una nota – “dare una sferzata nella lotta a questa intollerabile piaga”.
I numeri sono da bollettino di guerra: nel 2024, secondo i dati di UN Women Italy, ogni dieci minuti una donna è stata uccisa dal proprio partner o da un familiare. Solo in Italia, sono 114 i femminicidi compiuti durante lo scorso anno. Quest’anno sono già sei, secondo l’Osservatorio “Non una di meno”.
“Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo”, recita il primo dei sette articoli che compongono il provvedimento. Si confida nel fatto che l’inasprimento delle pene possa portare alla desistenza dalla condotta criminale, ma interventi dello stesso segno non hanno sortito il risultato sperato: la punizione più dura “storicamente” non è mai stata un deterrente al crimine.
La vera “deterrenza” può arrivare da una crescita culturale del Paese, da un sistema Paese mobilitato tutto nell’impegno della promozione di un cambiamento sociale, che parte dalla scuola – la cui funzione diventa ancora più importante quando il contesto familiare è fragile – e si avvale di strumenti come l’educazione sessuale, il sostegno psicologico, cui si affiancano le misure di prevenzione. Un processo lungo, quello del cambiamento culturale, cui il governo, con questo provvedimento, spera di imprimere un’accelerazione.
Lo dice la ministra delle Pari Opportunità, Eugenia Roccella, illustrando il ddl al termine del Consiglio dei ministri, insieme al titolare della Giustizia, Carlo Nordio, e ai ministri dell’Interno, Matteo Piantedosi, delle Riforme Istituzionali, Elisabetta Casellati, del Lavoro, Marina Calderone, e dell’Università, Anna Maria Bernini. “Abbiamo sempre detto che la lotta contro i femminicidi, contro la violenza nei confronti delle donne deve essere una lotta anche sul piano della cultura diffusa, del modo di concepire le relazioni uomo-donna e quindi pensiamo che questo sia anche” un “tentativo di produrre un mutamento culturale, attraverso questa titolazione”, afferma.
Il femminicidio viene inserito nel codice penale come reato autonomo. Nordio ne spiega la valenza: “È una grande svolta, perché fino a oggi si discuteva se questa potesse essere un’aggravante, l’avere costituito una fattispecie autonoma costituisce una forma di manifestazione potente di una attenzione a questa problematica, emersa in questi ultimi anni in maniera così dolorosa, e che doveva avere, e ora ha avuto un riconoscimento autonomo dal punto di vista penale”.
Nei casi in cui il reato non si configuri come atto di discriminazione o di odio si applica l’articolo 575 del codice penale, che prevede una pena non inferiore a 21 anni.
Il disegno di legge prevede aggravanti e aumenti di pena per i reati di maltrattamenti personali, stalking, violenza sessuale e revenge porn.
In particolare, la pena è aumentata da un terzo alla metà se, nel caso di maltrattamenti di familiari o conviventi, il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, si legge nel ddl. È aumentata da un terzo a due terzi in caso di minacce e revenge porn. Attualmente i reati di maltrattamenti in famiglia sono puniti con la reclusione da tre a sette anni, pena che aumenta nel caso siano coinvolti minori, donne in stato di gravidanza o disabili.
Tra le novità una riguarda i magistrati per i quali si rafforzano gli oneri formativi – perché “bisogna intervenire prima che accada il fattaccio”, “con misure cautelari intelligenti”, argomenta Roccella – introducendo l’obbligo di partecipare ad almeno uno specifico corso tra quelli organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, indipendentemente dalla appartenenza a gruppi o sezioni. Un’altra novità riguarda i casi di codice rosso, nei quali l’audizione della persona offesa non è più delegabile alla polizia giudiziaria, ma sarà “obbligatoria” per il pubblico ministero.
Il Quotidiano del Sud.
Femminicidio: reato autonomo punito con l’ergastolo