Fast fashion, salviamo la Terra dall’usa e getta globale e globalizzato

  • Postato il 19 maggio 2025
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Fast fashion, salviamo la Terra dall’usa e getta globale e globalizzato

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La Terra in balia dell’usa e getta globale e globalizzato nel mondo del tessile e del Fashion: consumi idrici elevati, emissioni di Co2, rilascio di microplastiche e uso di sostanza tossiche


Emblematica ed inquietante è l’immagine dell’enorme discarica illegale nel deserto silenzioso di Atacama, in Cile, dove ogni anno finiscono migliaia di tonnellate di vestiti usati e invenduti provenienti da Stati Uniti, Europa e Asia. Un ricettacolo diventato simbolo della “Fast fashion”, la moda veloce, usa e getta. Espressione utilizzata per la prima volta nel 1989 in un articolo dedicato all’apertura di un negozio Zara a New York, oggi il termine descrive un sistema di produzione e consumo che privilegia velocità e costi ridotti, a scapito della sostenibilità e della qualità. Un fenomeno che ha notevoli implicazioni economiche, ambientali, legali e umane.

Dietro la moda che sceglie l’utilizzo di materiale prodotto con tessuti di scarsa qualità in Paesi come Cina, Bangladesh, India, Pakistan e Vietnam – dove la manodopera è a basso costo, con orari insostenibili di lavoro e in condizioni di scarsa sicurezza – c’è una vera e propria emergenza. Prima di tutto sociale, con lo sfruttamento illegale del lavoro spesso minorile. Ambientale, con implicazioni fortemente negative sull’inquinamento del Pianeta.

I dati della Commissione Europea hanno evidenziato che tra il 2000 e il 2015 la produzione di prodotti tessili è quasi raddoppiata con trend in crescita sino al prossimo 2030 e già ad oggi provoca circa 5,8 tonnellate di rifiuti/anno (circa 11 kg pro capite). E poi c’è la questione economica: le aziende della moda virtuose, molte di queste simbolo dell’eccellenza nella produzione Made in Italy, sono fortemente penalizzate da questa tendenza dell’usa e getta che predilige la quantità piuttosto che la qualità.

E ancora, nello scenario geopolitico mondiale, i dazi di Donald Trump sulle importazioni cinesi hanno colpito quasi ogni categoria di beni di consumo, ma soprattutto i siti e-commerce di fast fashion, Shein e Temu. I brand low cost producono annualmente milioni di tonnellate di rifiuti tessili sintetici, difficili da smaltire anche a causa delle sostanze tossiche presenti al loro interno. Oltre questo, marchi come Shein sono finiti più volte sotto i riflettori per le condizioni dei lavoratori, costretti a lavorare per più di 12 ore al giorno. Ma anche casi di lavoro minorile, dichiarati dalla stessa azienda. Per arginare questo fenomeno che su più fronti crea allarme, l’Europa ha provato a correre ai ripari, dopo una serie di interventi normativi degli ultimi anni tesi a rendere la Fast fashion “fuori moda” per legge.

La normativa del settore è principalmente definita dalla Direttiva quadro sui rifiuti (Direttiva 2008/98/CE) e dalle sue successive modifiche e implementazioni nazionali. Questa normativa stabilisce i principi di gestione dei rifiuti nell’Ue e ha portato a specifiche disposizioni per quelli tessili. Dal primo gennaio 2025, Bruxelles ha introdotto la raccolta differenziata obbligatoria in tutti i Paesi membri, come parte di una strategia più ampia per contrastare la sovrapproduzione di rifiuti tessili e le pratiche di moda rapida. Questo include l’introduzione di regimi obbligatori e armonizzati di responsabilità estesa del produttore (EPR). La direttiva mira a evitare che i prodotti vengano scartati prima del loro ciclo di vita potenziale, incentivando la durata e il loro riciclo.

L’industria tessile rientra tra le principali responsabili di consumi idrici elevati, emissioni di CO₂, rilascio di microplastiche e uso di sostanze chimiche tossiche. Poiché la quantità massima di microplastiche è rilasciata nel corso dei primi 5-10 lavaggi, la moda rapida, associata al crescente uso di fibre sintetiche di origine fossile, ha un impatto significativo su questo tipo di inquinamento. Ogni anno vengono rilasciate fino a 40 000 tonnellate di fibre sintetiche solo negli effluenti delle lavatrici. La fast fashion genera poi enormi quantità di rifiuti, con l’85% dei capi che finiscono in discarica. Per invertire questa tendenza, è fondamentale puntare su materiali sostenibili, economia circolare, produzione responsabile e consumo consapevole. L’introduzione della raccolta differenziata è un passo importante, ma per un vero cambiamento serve un approccio più ampio.

L’Italia ha anticipato la normativa rendendo obbligatoria la raccolta separata dei tessili già dal primo gennaio 2022, con l’entrata in vigore del decreto legislativo n.116/2020. I Comuni hanno quindi dovuto attivare servizi dedicati e predisporre le infrastrutture necessarie. Uno degli aspetti più innovativi della normativa è l’introduzione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) nel settore tessile. Questo principio impone alle aziende produttrici di farsi carico dei costi legati alla gestione dei rifiuti derivanti dai loro prodotti, spingendole a progettare soluzioni più sostenibili sin dall’origine. E ancora, la distruzione delle merci invendute o rese, compresi i capi di abbigliamento, è uno spreco di valore e di risorse.

Per scoraggiare questa pratica, nel quadro del regolamento sulla progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili, la Commissione propone un obbligo di trasparenza che impone alle grandi imprese di rendere pubblico il numero di prodotti che buttano e distruggono, e il loro ulteriore trattamento ai fini della preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, incenerimento o collocamento in discarica.

Un’altra considerazione da fare è che gli strumenti digitali stanno cambiando il modo in cui i capi di abbigliamento sono progettati, prodotti e gestiti in tutto il mondo: per questo la Commissione Europea sta studiando in che modo le tecnologie emergenti, come quelle digitali di precisione, potrebbero ridurre l’elevata percentuale di restituzioni di capi di abbigliamento acquistati online, incoraggiare la produzione su richiesta e su misura, migliorare l’efficienza dei processi industriali e ridurre l’impronta di carbonio del commercio elettronico.

Infine, l’etichettatura dei prodotti tessili sarà rinnovata per fornire ai consumatori maggiori informazioni sulla sostenibilità e la durata dei capi. I produttori di fast fashion saranno incentivati a produrre articoli più duraturi e riciclabili, e potrebbero essere soggetti a tasse più elevate se i prodotti non raggiungono la loro durata potenziale. “Il mondo è un bel posto e per esso vale la pena di lottare”, diceva Ernest Hemingway, incoraggiando i lettori a non arrendersi alle difficoltà, ma la frase può essere perfettamente adattata alla missione di salvare il Pianeta dai danni della moda, globalizzata e globale, dell’usa e getta.

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