Eva, Maddalena e le altre: la Bibbia non è mai stata così femminista. Arriva in libreria l’ultimo romanzo di Marilù Oliva

  • Postato il 13 gennaio 2025
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Un mondo di barbe, addirittura plurisecolari, di padri tirannici e numinosi: la Bibbia, e in particolare l’Antico Testamento, è sicuramente un testo patriarcale. Eppure, a voler ben guardare, è anche una strepitosa galleria di ritratti femminili, dalle vittime più dimesse alle guerriere più combattive, sante e maliarde, regine e popolane… da Eva a Maria, da Anna a Zipporah, passando per Dalila, che fece innamorare Sansone, a Salomé, che danzando farà perdere la testa sia a Erode che a Giovanni Battista. Marilù Oliva, dopo L’Iliade cantata dalle dee, L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, L’Eneide di Didone, si cimenta in una nuova sfida: raccontare la Bibbia attraverso la voce di nove protagoniste. Il romanzo La Bibbia raccontata da Eva, Giuditta, Maddalena e le altre, edito da Solferino, sarà in libreria il 14 gennaio. Abbiamo chiesto all’autrice di spiegarci il perché di una simile scelta.


di Marilù Oliva

Non si può negare che le antiche popolazioni del Vicino Oriente, come poi quelle greca, avessero una forte componente patriarcale. Il mito e le storie di creazione ci forniscono un’anticipazione dei compiti che spetteranno alle donne, in primis quello di procreare. Gea sottoposta agli impeti di Urano, ad esempio, nella cosmogonia greca. O Eva realizzata a partire da una costola, nella Bibbia, definita quindi fin da subito come appendice. Anche nelle successive narrazioni bibliche le donne rimangono spesso ai margini e accade che “la loro presenza sia nel migliore dei casi implicitamente sottintesa”, per dirla con le parole della studiosa austriaca Irmtraud Fischer, che sottolinea anche quanto la storia cristiana delle origini si basi sui dodici apostoli, delle cui mogli non ci è stato tramandato nulla. Ma non solo: aggiungo che la moglie di Noè non viene mai nominata, Miriam viene spesso ignorata da Dio, che preferisce lasciarla in ombra rispetto a suo fratello Mosè.

Una donna sola non aveva spazio nella società di Israele di un tempo, infatti la legge del levirato prevedeva che una vedova, per sopravvivere e ricevere sostentamento, si sposasse col fratello del marito. Per non parlare del potere, che in pochissime e in misura infinitesimale si ritrovavano a gestire, e solo per una serie fortuita di coincidenze. Ma non era un limite della civiltà giudaica, bensì di quell’epoca e in vaste zone geografiche. Alcune donne vivevano nella speranza ossessiva di un concepimento in quanto era stato insegnato che la loro missione sarebbe stata generare figli e, se non la assolvevano, si sentivano frustrate e inutili. Altre anelavano un uomo che non le desiderava, obbedivano ai padri, accettavano la disuguaglianza imposta, mentre nel chiuso dei villaggi si srotolava la loro vita vera, quella fatta di quotidianità, carestie, gravidanze, parti, ostacoli, imprevisti.

È qui che ho cercato di entrare. Negli spazi sottratti. Nei pensieri sottaciuti, negli impeti soffocati e inghiottiti nel vortice dell’oblio. Cosa meditavano nel loro cuore, queste donne le cui giornate si srotolavano spesso nell’attesa? Come si rapportavano l’una all’altra, in un contesto in cui primeggiava chi era più fertile? Quanto accettavano e quanto invece insorgevano? Sono partita dalla loro capacità di sopravvivere e adattarsi e ho cercato le fratture, le metamorfosi, la dissidenza, gli atti di gentilezza e solidarietà femminile. Ci sono, seppure rari. Così come non mancano figure femminili potenti e di rottura come Miriam, che protegge il fratello (quindi le sorti del popolo ebraico), danza, intona inni e scegli il nubilato. Per questo ho pensato di raccontarvele, perché non ha senso inseguire prospettive più paritarie se non ci disarcioniamo da una narrazione patriarcale. E poi le loro vicende molto più vicine a noi di quanto crediamo.

Pensiamo ad Eva, la prima. Quante volte ci è capitato di essere giudicate per la nostra curiosità? Quante volte la nostra ambizione è stata fraintesa? Quante volte la spensieratezza con cui abbiamo provato a incastrarci nel mondo è stata schiacciata? Quante volte una nostra modalità di asserzione è stata disapprovata? Quante volte abbiamo avuto la sensazione che, se quell’atto di cui venivano accusate l’avesse compiuto un maschio, il giudizio sarebbe stato più clemente?

Eva viene creata perché l’uomo non sia solo. Ciò la qualifica fin da subito come il trastullo di Adamo: la sua funzione è far sì che l’uomo non si annoi (oltre a contribuire al prolificare dell’umanità) e questo ruolo, purtroppo, resterà cristallizzato per secoli. Appena prende vita, Eva sente la meraviglia del creato palpitare attorno a lei, ma le manca un’identità: “Cos’era quel corpo in cui la nostra essenza si sentiva intrappolata, pur volendo straripare? Cosa significava il nostro essere inscritti nel miracolo della natura? Essere lì e non altrove, subire una forma, sottostare alla movenza delle gambe, delle braccia, rimanere così insolentemente attecchiti al suolo, come se catene invisibili ci attirassero nelle profondità della Terra, ricevere con gli occhi il mondo intero ma non poter raggiungere gli ibis alti nel cielo: chi eravamo noi due? Questo significava dunque esistere? Ci camminavamo di fronte a passi lenti, ruotando guardinghi, scoprendo – perché non lo potevamo sapere, non essendoci mai specchiati – quanto fossimo simili e differenti. Il tempo scorreva come un regalo fatato, concentrato come non sarebbe mai più stato. Quello era il nostro tutto, certo non sospettavamo che potesse subire un mutamento. Non conoscevamo la morte, e quindi non ce ne curavamo. Pensavamo che la vita fosse come quelle farfalle immortali dalle ali magnetiche che brillavano di imperitura bellezza”.

Eva non si accontenta di contemplare la bellezza chela accerchia: vuole conoscerla. Se Ulisse viene celebrato come apologeta della conoscenza perché rischia la vita pur di ascoltare il canto delle Sirene, creature letali, Eva viene invece castigata perché osa assaggiare il frutto proibito. Glielo suggerisce il serpente, è vero, rettile che su di lei esercita un fascino ipnotico, in quanto Eva è attratta dalla diversità, in quanto sa che la differenza è la chiave dello stupore verso il mondo. Ma è lei che consapevolmente sceglie di staccare il frutto dal ramo, quella è la sua prima decisione importante. Il suo primo atto di affermazione, di ribellione rispetto a una regola imposta che probabilmente trova ottusa. In questa rivolta trascina anche Adamo, che diviene per poco tempo complice. Immagino che ai piani alti questo risulti inaffrontabile: l’insurrezione si sta allargando, occorre fermarla drasticamente.

Con quanta facilità l’uomo, meschino, scarica la colpa su di lei, di fronte a Dio! Con quale leggerezza la tradisce! Quante volte, nel corso della storia, la donna si ritroverà nella stessa situazione: punita oltremisura, accusata, incriminata, rinnegata, vilipesa solo perché ha tentato di farsi spazio in un mondo declinato al maschile.

La cacciata dall’Eden stravolge le percezioni, dà un ritmo netto al tempo che prima era sgranato in una dimensione eterna e mette a rischio della morte. Ecco come i progenitori acquisiscono la ferocia della nuova realtà: “Una palla di angoscia rotolava nel petto. La felicità di un tempo fu relegata all’estensione di un fugace sogno e un po’ alla volta divenne puro simbolo. Intoccabile e agognata. La derelizione le diede un calcio e ci fece gocciolare di sudore. Riconoscemmo l’afrore della putrefazione. La prima volta fu con una carcassa di volpe, la seconda una pecora quasi ischeletrita, che grondava caducità. La vita prima si irraggiava poi deperiva: quindi saremmo trapassati anche noi. Sobbalzavamo agli ululati degli animali, bastava un nonnulla per sconquassarci. Ci mancava il respiro dopo una lunga corsa, come se una mano odiosa ce lo stesse rubando. Ecco come ci aveva ridotti Dio: castelli di sabbia sul limitare del bagnasciuga. Non sentivamo più la musica del mare, perché la lontananza si era frapposta fra il creato e le nostre percezioni”.

E non è finita. Perché Eva deve essere dilaniata fino in fondo. Infatti dovrà vivere l’evento più straziante che possa essere imposto a una madre: la morte del figlio. Nel suo caso, ucciso dal fratello. Nessuno si salva, almeno sembra. Ma Eva fa come faranno molte donne buttate a terra e soggiogate: lentamente si rialza. Partorisce altri figli. E figlie, stavolta femmine. E sono certa che instillò in alcune di loro il seme della dissidenza.

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Il Fatto Quotidiano

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