Essere padri, ma con lentezza: l’Italia ancora fanalino di coda nel sud Europa per l’equità nel lavoro di cura

  • Postato il 18 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La recente indagine “State of Southern European Fathers” – condotta da Equimundo su Italia, Spagna e Portogallo – fotografa importanti cambiamenti in atto nel ruolo dei padri nel Sud Europa; si inserisce nel progetto “The Engaging Men in Nurturing Care”, che sostiene l’equità di genere nell’assistenza, promosso in Italia dal Centro per la Salute delle Bambine e dei Bambini. Attraverso un questionario, tra settembre e ottobre 2024, sono state raccolte le voci di1.520 genitori con figli nei tre Paesi, metà donne e metà uomini, la maggioranza con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni.

Dalla ricerca emergono differenze nelle percezioni, nelle pratiche e nelle politiche nazionali e regionali; per l’Italia si nota un’evoluzione culturale e sociale più lenta rispetto agli altri due Paesi e la persistenza di maggiori barriere strutturali, sociali e normative alla piena partecipazione dei padri alla cura dei figli, che ci relegano a fanalino di coda non solo del Nord ma anche del Sud Europa.

Numerosi studi nel tempo hanno comprovato i significativi benefici dati dal coinvolgimento attivo dei padri nelle attività di cura, per figli e figlie, per le loro partner, per loro stessi. Questi dati sarebbero il punto di partenza per un un’ampia riforma politica, soprattutto in Italia, perché indubbiamente il ruolo dello Stato è determinate. Secondo Giorgio Tamburini, presidente del Centro per la Salute delle Bambine e dei Bambini, “Spagna e Portogallo sono più avanti di noi, sia sul piano culturale che normativo, e i governi presenti e soprattutto passati hanno giocato un ruolo: in entrambi i Paesi sono stati esecutivi di sinistra che hanno sviluppato politiche più favorevoli all’occupazione femminile e alle pari opportunità sia nel lavoro che nelle cure. La politica è stata capace sia di accogliere il cambiamento in atto sia di promuoverlo. In Spagna e Portogallo vi è stata negli ultimi decenni una evoluzione nella società analoga a quella che si sta verificando in Italia ma più consistente e rapida, che è insieme causa e conseguenza di quella politica. In Italia, la sensibilità della politica, anche a sinistra, è stata scarsa e comunque minoritaria”, anche se le aziende stanno iniziando a mettere in atto pratiche più flessibili su orari, smart working e permessi. Purtroppo, questi benefici sono ancora limitati e la necessità di un’azione concreta e mirata da parte del governo per estendere il congedo di paternità resta urgente.

In tutti i Paesi la disparità nel lavoro di cura è legata soprattutto alle disuguaglianze nel lavoro e alla persistenza di norme che limitano la partecipazione economica delle donne e aumentano la sproporzione nel carico del lavoro di cura non retribuito rispetto agli uomini. A questo proposito, un dato interessante rilevato dalla ricerca riguarda la percezione delle persone intervistate: se in Italia il 77% dei padri crede di essere ugualmente coinvolto nella cura dei figli, le risposte delle madri suggeriscono una realtà diversa, che le vede ancora farsi carico della maggior parte del lavoro di cura. Perché questa differenza di vedute e quanto influiscono gli stereotipi culturali e di genere? Secondo Tamberini “questa diversa percezione deriva dal fatto che gli uomini, proprio perché ancora ancorati a una visione del passato, tendono a sopravvalutare quanto di più e di nuovo riescono a fare nell’ambito dei lavori di cura. Ad esempio, il papà che cambia il pannolino o legge un libro pensa di farlo con pari impegno anche quando vi è ancora sproporzione di tempo ed energia rispetto alla mamma. Non mi sento di dire che si tratta di cattiva coscienza, per lo meno non consapevole. È un retaggio, e sappiamo e vediamo, negli ambulatori, nei nidi, nelle case, che sta cambiando”.

Il rapporto pone l’accento anche sulle norme di genere ancora esistenti, In Italia in misura maggiore rispetto Spagna e Portogallo, che limitano la partecipazione economica delle donne e la sproporzione nel carico del lavoro di cura non retribuito rispetto agli uomini. In Italia – più che in Spagna e Portogallo – restano alte le percentuali di uomini che concordano su una visione più tradizionale dei compiti familiari: secondo il 20% degli intervistati italiani “un uomo dovrebbe avere l’ultima parola sulle decisioni domestiche” e il cambio di pannolino, il bagnetto e l’allattamento siano responsabilità esclusive delle madri (20%). Anche nell’adesione alle rigide norme della maschilità, cioè le aspettative socialmente imposte che definiscono la maschilità attraverso tratti come il dominio, la soppressione emotiva e l’autosufficienza, l’Italia riporta valori più alti rispetto gli altri due Paesi. Il dato più pesante e allarmante riguarda l’idea che le differenze biologiche rendono le donne più adatte alla cura (sostenuto dal 29% delle donne e il 32% degli uomini). Il 45% degli uomini e il 36% delle donne in Italia hanno almeno una di queste credenze tradizionali. Questi dati indicano che l’Italia ha ancora una visione stereotipata del ruolo della donna: quali azioni servirebbero per decostruire questa logica? Secondo Tamburini “quelle di carattere educativo, nelle scuole e a partire dai primi anni, quando certi concetti si formano. Ma pesano molto, moltissimo, gli esempi e i modelli portati dai media e in particolare dai social”.

Andando oltre la percezione e guardando ai dati concreti, le madri rimangono le caregiver “per eccellenza”, anche quando sono impiegate a tempo pieno. In Italia, infatti, il 27% dei padri e il 40% delle madri lamentano di dover gestire responsabilità familiari e di cura mentre lavorano.

Dalla ricerca emerge anche un altro dato, comune ai tre Paesi coinvolti: la mancanza di tempo è un ostacolo determinante per i padri nel coinvolgimento della cura dei propri figli. Tuttavia, anche in questo caso, sui padri italiani questa percezione pesa di più, rispetto a quanto si verifica in Spagna e Portogallo. Che cosa può fare in più il sistema lavorativo italiano per supportare adeguatamente la conciliazione vita-lavoro? “Quasi tutti i lavori possono essere fatti a distanza, e qui c’è ancora molto spazio per l’innovazione e una diversa distribuzione dei compiti e degli obiettivi, spazio che va riempito dalle aziende insieme alle organizzazioni dei lavoratori, a volte anche con i singoli lavoratori, riconoscendo le peculiarità di ogni situazione”, sostiene Tamberini.

Anche per quanto riguarda i congedi parentali ci sono notevoli differenze tra Italia, Spagna e Portogallo, in termini di durata, retribuzione e trasferibilità da un genitore all’altro. Secondo il rapporto, padri e madri hanno espresso insoddisfazione per la durata del congedo disponibile (il 67% dei padri avrebbe preso un periodo di congedo più lungo) e tuttavia il 49% dei padri italiani (contro il 39% delle madri italiane) considera già adeguata la durata del congedo. È significativo che il 60% delle madri e dei padri intervistati voterebbe per un partito o un politico che sostenesse un congedo genitoriale retribuito più lungo. Un dato che sale al 66% tra le madri italiane.

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