Elisa Togut, l’opposto della prima Italvolley d’oro: “Il metodo azzurro fa scuola nel mondo. Hanno vinto come gruppo, Sylla il punto di riferimento”
- Postato il 10 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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È stata la miglior giocatrice del mondiale di pallavolo del 2002 a Berlino, il primo vinto dalle azzurre. Sulla panchina c’era Marco Bonitta e in campo c’erano Sara Anzanello, Valentina Borrelli, Paola Cardullo, Manuela Leggeri, Eleonora Lo Bianco, Anna Vania Mello, Darina Mifkova, Paola Paggi, Francesca Piccinini, Simona Rinieri, Rachele Sangiuliano ed Elisa Togut. E proprio quest’ultima, all’epoca 24enne, con i suoi 30 punti aveva dato un grossissimo contributo nella vittoria contro gli Stati Uniti, sempre al tie-break, come domenica, quando le azzurre del ct Velasco hanno conquistato il secondo titolo iridato per il volley femminile italiano. Adesso non le dispiace passare lo scettro. “Nessun rammarico – dice a ilfattoquotidiano.it –. Io e le mie compagne abbiamo sempre fatto il tifo per loro”.
A distanza di 23 anni, non siete più le uniche azzurre ad aver vinto un mondiale nel volley.
Siamo state felici di essere state le prime ad aver compiuto un ciclo vincente. Da allora la nazionale femminile di pallavolo ha sempre partecipato a tutte le principali manifestazioni internazionali. La loro generazione ha raccolto i risultati.
Le ha seguite sempre durante questi mondiali?
Ho guardato la semifinale e la finale per intero. Mi hanno tenuto con il fiato sospeso fino all’ultimo.
Come le sono sembrate?
Non hanno giocato nel modo in cui ci hanno abituato in questi anni, nel senso che non è stato tutto facile come alle Olimpiadi, ma Julio Velasco lo aveva detto prima. L’importante però è che ne siano uscite fuori come gruppo, più che come individui.
C’è qualcosa che le è piaciuto in particolare?
In generale, mi sono piaciuti l’organico e l’utilizzo del doppio cambio, che permetteva di avere tre attaccanti in prima linea. Carlotta Cambi e Ekaterina Antropova si sono sempre mostrate pronte. Poi vorrei fare un plauso a Myriam Sylla, che non ha avuto il premio come migliore schiacciatrice, ma lo avrebbe meritato: è stata un punto di riferimento.
Si rivede in Paola Egonu e in Ekaterina Antropova?
Il ruolo è lo stesso, l’opposto. Abbiamo la licenza di attaccare sempre forte. Paola ha fatto un po’ fatica in semifinale e in finale, ma è stata brava a fare la differenza nei momenti decisivi, ad esempio alla fine della semifinale col Brasile e in alcuni set della finale.
Come è cambiata la pallavolo dal 2002 a oggi?
Il gioco più o meno è ancora simile al nostro, ma sono emerse le fisicità delle giocatrici, in particolare degli opposti e delle centrali.
Nel 1996 lei è stata tra le prime giovanissime pallavoliste a entrare nel Club Italia, voluto da Julio Velasco quando, lasciata la nazionale maschile, allenò per un breve periodo la nazionale femminile. Aveva avuto modo di conoscerlo?
Era il primo anno del Club Italia, eravamo a Ravenna, e l’ho conosciuto quando mi ero unita alla nazionale maggiore. Io ero all’ultimo anno di scuola e ricordo che aveva fatto spostare un raduno a Modena per permettermi di frequentare le lezioni. Avevo ascoltato i suoi insegnamenti. Resta un allenatore capace di trasmettere la mentalità giusta e lo ha fatto anche con queste ragazze, che ne avevano bisogno.
Quel Club Italia era diverso da quello attuale.
Noi non eravamo iscritte a nessun campionato. In seguito le ragazze hanno partecipato ai campionati di serie B e A2 ed è stato fondamentale per la loro crescita. Quest’estate l’Under 21 ha vinto il mondiale di categoria, dimostrando che c’è un terreno fertile. È stato fatto tanto. Il nostro metodo fa scuola e i nostri allenatori girano il mondo.
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