Effetto Nicholas: «Così quel bambino ci cambiò la vita»
- Postato il 2 luglio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Effetto Nicholas: «Così quel bambino ci cambiò la vita»
Un documentario, “Effetto Nicholas”, trasmesso in prima serata su Rai2 con un buon risultato e ora disponibile su RaiPlay. E quello che a molti sembra solo uno dei tanti crimini degli anni ‘90, una vergogna, un episodio atroce da dimenticare, diventa il segno della speranza.
COME un fiore cresciuto nel fango, la storia di quel bambino ha cambiato la vita di centinaia di persone e delle loro famiglie. Piazze, vie, playground e scuole hanno il suo nome, in tutta Italia. “I Green ci hanno insegnato che la generosità porta conforto”, la frase di Enzo Biagi buca il video e l’oblìo. Una storia calabrese, riscritta da una calabrese. Una storia internazionale, che gira intorno a una formidabile famiglia. Un documentario, “Effetto Nicholas”, trasmesso in prima serata su Rai2 con un buon risultato e ora disponibile su RaiPlay. E quello che a molti sembra solo uno dei tanti crimini degli anni ‘90, una vergogna, un episodio atroce da dimenticare, diventa il segno della speranza. Forse è arrivato il tempo giusto per raccontare: non, o non solo, la parte criminale. Quella è già chiara, se volete la più gettonata, perché il male mantiene sempre un certo appeal, e gli autori televisivi lo chiamano crime. I due ‘ndranghetisti che aspettano in autostrada l’auto di un gioielliere: su un modello simile viaggia una serena (e scopriremo tenace) famiglia americana. I balordi sparano: il piccolo Nicholas passa dal sonno alla morte cerebrale. Ed è qui che accade il miracolo, in questo tragico appuntamento con il destino. I coniugi Green dicono sì alla donazione degli organi, lo fanno in fretta, nella disperazione assoluta. Ed è quella, soprattutto quella, la parte decisiva della storia.
L’altra sera a Motta San Giovanni, paese fra l’Aspromonte e il lato sud dello Stretto, dove c’è un monumento ai minatori, i cittadini hanno visto il documentario: un appuntamento pubblico a cura dell’associazione Meraki, nell’aula del Consiglio Comunale. Carmen Vogani, che è nata lì, si è collegata: la sala era piena, c’erano la madre, la nonna e qualche cugino. Lei può raccontare solo oggi il perché di quella ossessione, che l’ha portata a scrivere e realizzare “Effetto Nicholas” insieme a Lorenzo Avola: «Un anno dopo, mio padre Paolo ricevette un cuore nuovo. E furono giorni di ansia e di servizi tv, ne parlarono i giornali locali, Motta fu fra i primi a mettere sulla carta d’identità il consenso alla donazione. Che regalò a mio padre dieci anni di vita, e a noi dieci anni in più con lui. La mia era una promessa di restituzione. Studiavo Scienze della Comunicazione a Roma e dicevo: un giorno racconterò questa storia».

Oggi Vogani è capo progetto e sviluppo documentari di Endemol Shine Italy, una di quelle menti che sfornano serie tv e format internazionali. In questo caso non ha pensato al mercato, ma al servizio pubblico. L’argomento non è di quelli facili, si scontra con superstizione e scarsa conoscenza. «Il trapianto ha a che fare con la morte cerebrale, c’è molta confusione anche sui mezzi di informazione, da qualche angolo di mondo ogni tanto arriva la notizia: si risveglia dal coma irreversibile. Nicholas salvò la vita a sette persone. Oggi vedo suo padre Reginald, 94 anni, farne ancora una missione». Non li riporterà indietro, non farà sparire il dolore, ma accenderà una piccola stella nell’oscurità della perdita.
Il documentario parte dal 27 settembre 1994 e arriva a oggi. C’è il tg con Lilli Gruber che dà la notizia, e bravi poliziotti abituati alla macelleria di quegli anni che si commuovono ancora. Margaret, la madre di Nicholas, dice: «Mi ricordo che all’ospedale di Messina mi portarono una sedia». C’è la breve vita di questo bambino curioso, che amava i miti classici e non vedeva l’ora di vedere Scilla e Cariddi, i filmati delle recite scolastiche. «Pensai, sognai che si potessero donare anche le sue lentiggini» dice il padre. Quel giorno la figlia Eleanor, più piccola di Nicholas, si affaccia al balcone dell’albergo, vede una massa di persone, le telecamere e i flash e fa “ciao ciao” con la manina. Una dottoressa che parla inglese la porta a prendere un gelato. Frasi che restano in testa: «Se il cervello non funziona più, quella è la morte». Il documentario fotografa la lucida umanità dei medici che si occupano di trapianti, nella vulgata spesso scambiati per vampiri. Bersaglio di aggressività, dolcissimi comunicatori di tragedie, salvatori di vite. Così come l’accento viene portato sui trapiantati, la cui storia è spesso oscurata da quella dei donatori.
E qui affiora una varietà di complessi di colpa. Quello del padre di Nicholas, che dice: «Non l’ho protetto abbastanza». Quello nostro, lo stigma del calabrese feroce, eterno: siamo stati veramente capaci di questo? Quello degli assassini al momento non risulta. E soprattutto il complesso di colpa di chi ha avuto un’altra vita grazie al bambino, e lo porta dentro. Con i genitori di Nicholas che dicono: «Non devi piangere, perché non sei stata tu». Filmati d’epoca, con la foto di gruppo di tutti quelli salvati dal piccolo americano. C’era una ragazzina che pesava 27 chili a quindici anni. Cuore, reni, fegato, cornee, un pezzo di pancreas prendono strade differenti: difficile perfino da immaginare. Oggi non sarebbe possibile saperlo, c’è una legge nuova, il rispetto della privacy: l’incontro fra parenti del donatore e trapiantati prevede molti passaggi, ci sono aspettative che magari provocano delusioni.
Ma “Effetto Nicholas” mostra un incontro struggente fra Shana Parisella, sorella di Davide morto in un incidente stradale, e Anna Iaquinta, che ha ricevuto il suo cuore. Si toccano, si intrecciano, si capisce che sono famiglia. Ma ci sono anche due genitori che non vogliono sapere a chi sono andati gli organi della figlia Sofia, che era appassionata di ballo: «Sappiamo perché, non sappiamo per chi. E oggi combattiamo contro l’ignoranza della gente». Può esserci un amore profondo verso una persona che non si conosce? (Ho in mente la storia di un donatore di midollo che interruppe il viaggio di nozze per aiutare un ammalato compatibile con lui, e lo salvò. Non si sono mai visti). Su tutte queste storie vigila la meravigliosa famiglia Green. Benedette persone, finite da una villa in California con piscina alla carreggiata sud di una malmessa autostrada, tra Vibo e Soriano. Quanto doveva essere forte il richiamo dell’Italia? E come potremo ricambiare questo amore? Mai affiora in loro il desiderio di vendetta: seguono anche il processo di primo grado che assolve i due accusati, e quello d’appello che li condanna. Ripetono: «Noi rispettiamo la giustizia».
In Effetto Nicholas c’è anche il presidente Scalfaro: «L’Italia vi ammira per il vostro coraggio». Il giornalista Pino Nano racconta come i Green scelsero subito la condivisione del dolore, e fu un messaggio formidabile: «Io non ce l’avrei fatta». E con lui, quasi nessuno di noi. Si vede oggi Eleanor con il piercing al naso, portare a spasso la figlia di un anno scalza sul pietrisco. Come la madre ha vissuto l’angoscia di un ricovero in rianimazione, poi è finita bene. E si vede ieri Eleanor in quei giorni, in simbiosi con la madre: «Ricordo quel colpo, non sapevo cosa volesse dire: addio per sempre». L’Italia era agli ultimi posti per donazioni. L’anno dopo l’omicidio di Nicholas, aumentarono del 25 per cento, arrivando a 450. Nel 2024 ce ne sono state 2.110, mai un numero così alto. «Se questa non è l’immortalità, sicuramente si avvicina: buonanotte e sogni d’oro a tutti voi». I Green hanno creato una Fondazione, sono sempre tornati in Italia, dovevamo essere noi ad andare a ringraziare loro. Carmen Vogani parla insieme ai titoli di coda dove c’è un invito alla donazione: «Avevamo una grande responsabilità: trattare la questione senza essere retorici, a ciglio asciutto. Far parlare i parenti e gli scienziati, fare di una tragedia un manifesto di solidarietà». Ci sono riusciti, a parte le lacrime.
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Effetto Nicholas: «Così quel bambino ci cambiò la vita»