Ecco come si sta costruendo il nuovo “immaginario mafioso”
- Postato il 16 ottobre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Ecco come si sta costruendo il nuovo “immaginario mafioso”
Studio della Fondazione Magna Graecia sull’immaginario mafioso, la strategia lanciata all’Onu da Nicaso: «Follow the flow»
CATANZARO – Seguire i flussi digitali. «Follow the flow». Questa la strategia per contrastare le organizzazioni criminali contemporanee proposta dallo storico Antonio Nicaso in occasione della presentazione all’Onu del nuovo studio della Fondazione Magna Graecia sulle mafie nell’era digitale. La criminalità organizzata è in continua evoluzione e le mafie contemporanee hanno abbracciato l’era digitale trasformando radicalmente le proprie strategie comunicative e di reclutamento grazie alle piattaforme social. Qui si sta costruendo un “immaginario mafioso” che non solo normalizza, ma talvolta tende a glorificare la criminalità. Il rischio è quello di un’influenza preoccupante soprattutto sulle giovani generazioni. Per questo la Fondazione Magna Graecia ha sentito l’urgenza di proseguire la sua indagine scientifica con un secondo studio che, a due anni dal primo, prevede un focus sull’uso di TikTok da parte delle mafie.
PRESENTAZIONE ALL’ONU
«Siamo convinti che la ricerca rappresenti uno strumento imprescindibile per comprendere e contrastare un fenomeno che muta con rapidità, adattandosi ai linguaggi e alle tecnologie del nostro tempo», ha detto il presidente della Fondazione, Nino Foti. Il Rapporto è stato curato da Marcello Ravveduto, professore di Digital Public History presso l’Università di Salerno e presentato al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Sono intervenuti anche il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, il professor Antonio Nicaso, docente alla Queen’s University del Canada, a cui è stata affidata la prefazione, e la presidente della Commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo.
LA MAFIOSFERA
Lo studio, unico nel suo genere, si addentra nei meandri di TikTok, piattaforma che, attraverso strumenti tipici dell’industria dell’intrattenimento digitale come musica, coreografie, e montaggi accattivanti, trasforma la mafia in un prodotto mediatico seducente. Il dossier analizza quasi 6.300 tra profili utente (1.489), video (1.455), commenti (1.385), emoji (1.053), tracce musicali (695), brand (130) e hashtag (76) ed è stato fatto un raffronto con le mafie internazionali.
Un Rapporto quanto mai necessario perché «oggi la mafia usa il linguaggio di un brand e, al pari di un brand, si fa pubblicità e si vende. E lo fa evocando il potere non tanto e non più con la violenza, quanto piuttosto secondo le logiche popolari del mercato», ha spiegato Ravveduto. Lo studioso ha individuato un nuovo spazio di comunicazione, definito “mafiosfera”, in grado di suggestionare un pubblico sempre più ampio. «Nella mafiosfera tutto si trasforma in intrattenimento e la mentalità mafiosa accede a una vetrinizzazione che la normalizza, la priva della violenza e la rende sempre più familiare al grande pubblico». Mafie sempre più “pop”, insomma.
IL MAFIOFILO
Da qui la figura del ‘”mafiofilo”, che, a volte in modo consapevole, altre no, “veste” il prodotto “mafia”. I codici spaziano da quelli visivi a quelli sonori, dalla musica neomelodica e trap ad abiti di lusso e griffati. Un’esteriorizzazione dell’appartenenza mafiosa che sfocia nella spettacolarizzazione. Così le organizzazioni criminali fanno perdere di vista il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, proponendo racconti di successi facili e alla portata di tutti, diventando attrattive soprattutto per i giovani.
Sulla figura del mafiofilo si è soffermato, nella sua prefazione, Nicaso, perché diventa «il perno attorno al quale ruota la diffusione e la spettacolarizzazione dell’immaginario mafioso sui social media». Il mafiofilo è quel soggetto che manifesta, all’interno delle piattaforme digitali – in particolare TikTok –, «un’affinità emotiva e culturale verso la mafia, senza necessariamente partecipare direttamente alle attività criminali». Come insegna Falcone, si può «avere una mentalità mafiosa senza essere criminali».
In tal senso, Nicaso spiega che «la “filia” mafiosa nasce come forma di fascinazione, imitazione, consumo culturale, e si esprime attraverso pratiche narrative, estetiche e performative che rendono la mafia un oggetto pop, valorizzato e condiviso oltre la realtà criminale». Simboli criminali di un’estetica del potere. «Episodi come la celebrazione su TikTok degli arresti dei giovani camorristi o l’esaltazione della resistenza dei boss nelle carceri diventano rituali digitali di solidarietà e di contestazione alle forze dell’ordine», è detto ancora nella prefazione.
NICASO: FOLLOW THE FLOW
«Le mafie ormai non sono più soltanto denaro, trame e violenza: oggi si muovono tra server, blockchain, social media e flussi digitali. E chi vuole combatterle deve diventare un cacciatore di flussi, lettore di sequenze nascoste, interprete dei mondi digitali visibili e invisibili», ha detto sempre Nicaso presentando il dossier. Lo studioso calabrese ha lanciato una possibile nuova strategia nel contrasto alle mafie che sono sempre più ibride e algoritmiche: «follow the flow», segui i flussi. «Non si tratta più di affrontare strutture rigidamente gerarchiche e territorialmente circoscritte. Ma di comprendere fenomeni complessi in cui l’innovazione tecnologica, la circolazione globale delle informazioni e la fluidità delle reti sociali modificano radicalmente il modo in cui il crimine organizzato si struttura, comunica e riproduce sé stesso», ha concluso.
GRATTERI: NUOVI PROTOCOLLI D’INDAGINE
«Per contrastare le mafie nel dominio digitale è fondamentale svecchiare i protocolli d’indagine, aggiornandoli alle nuove sfide tecnologiche e criminali, e dotarsi di personale altamente qualificato dal punto di vista informativo», ha osservato il procuratore Gratteri. «Solo attraverso un approccio professionale e competente è possibile raccogliere, analizzare e utilizzare i dati in maniera efficace. Parallelamente, è necessario omologare la strategia normativa, garantendo coerenza e continuità nell’azione di contrasto, evitando discontinuità che possano indebolire la capacità dello Stato di fronteggiare questo tipo di minacce».
INTESA CON TIK TOK
Per la presidente della Commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo, «La mafia, la ‘ndrangheta e la camorra veicolano attraverso i social media un messaggio deviante e distruttivo, soprattutto per le nuove generazioni, che va contrastato e combattuto utilizzando tutti gli strumenti digitali a nostra disposizione. Bisogna assolutamente evitare l’effetto fascinazione. Proprio per questo – ha concluso – la Commissione antimafia ha voluto lanciare un segnale forte e concreto su questa tematica firmando un protocollo d’intesa con TikTok perché la lotta alle mafie passa anche attraverso i canali digitali e richiede la collaborazione di tutti, istituzioni e aziende comprese». Antonello Colosimo, presidente della Corte dei conti in Umbria, ha evidenziato la «forte versatilità raggiunta dalle organizzazioni criminali nel rendersi duttili, utilizzando proprio le piattaforme digitali, la cui facilità di utilizzo e la diffusione pressocché universale offre loro mercati e bacini di utenza non immaginati».
NUOVO PARADIGMA
Insomma, occorre investire su strumenti normativi e tecnologici, ma urge sviluppare anche un nuovo paradigma interpretativo. In un’epoca in cui la criminalità muta forma, linguaggio e strategie comunicative, «comprendere e definire la mafiosfera diventa un compito urgente per le scienze della comunicazione, chiamate non solo ad analizzare ma anche a intervenire criticamente nello spazio simbolico che costituisce oggi uno dei terreni principali dello scontro tra mafie e antimafia», ha detto ancora Ravveduto. «Conoscere come i clan criminali sfruttino strumenti di comunicazione globale significa offrire alle istituzioni, alle forze dell’ordine e alla società civile strumenti per costruire libertà, legalità e fiducia», ha aggiunto Foti. La ricerca, mettendo a confronto per la prima volta le dinamiche della mafia italiana con quelle delle narco-mafie messicane, evidenzia, infatti, l’emergere di un linguaggio globale della devianza.
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CONTRO-ALGORITMI
Non a caso, nelle conclusioni, il dossier auspica che gli inquirenti adottino una strategia di media warfare, creando contro-algoritmi interferenti con i meccanismi di amplificazione dell’immaginario mafioso e contenuti contro-narrativi. Insomma progettare «“virus culturali” capaci di corrompere gradualmente i contenuti simbolici dei network mafiosi». Adottare un vero e proprio “sabotaggio estetico” per rendere progressivamente meno attraente e coinvolgente lo storytelling mafiofilo. Ma soprattutto, osservano gli analisti, è doveroso praticare una «media literacy dell’antimafia, consentendo ai cittadini di riconoscere e resistere ai protocolli seduttivi della post-mafia». L’invito è quello di «sviluppare immunità cognitiva ed emotiva» decostruendo criticamente le narrazioni mafiofile.
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Ecco come si sta costruendo il nuovo “immaginario mafioso”