E Gesù si arrabbiò. L’anteprima cinematografica di The Chosen vista da Ciccotti
- Postato il 15 aprile 2025
- Cultura
- Di Formiche
- 2 Visualizzazioni

Il primo Gesù del sonoro in cui la giusta rabbia nel ripulire «la casa del Padre» dai mercanti di animali, dai cambiavalute, dai venditori di varia, è quello dal volto duro e aspro, fronte alta, di Robert Le Vigan (ottimo attore ma con la macchia di essere stato nella vita privata un collaborazionista deli nazisti durante l’occupazione tedesca della Francia) in Golgotha, 1935 (regia di Julien Duvivier: sarà, venti anni dopo, il regista dei primi due Don Camillo e Peppone).
Jonathan Roumie, il Gesù di The Chosen (quinta stagione, esempio riuscito di indie serial) di Dallas Jenkins, primi due episodi, in anteprima nazionale nelle sale cinematografiche in questi giorni, potrebbe esser visto come un dittico della santa rabbia. Ma diverse sono le sequenze riuscite presenti in questi due primi episodi.
Per esempio, l’Ultima cena. Essa è resa con lenti e, implicitamente drammatiche, panoramiche sui volti degli Apostoli, scolpiti da una delicata illuminazione a candela. Originale l’Entrata in Gerusalemme, su un asinello pezzato bianco/nero fortemente simbolico: la purezza che affronta il peccato. E, appunto, la santa “violenza” con cui il Maestro fa piazza pulita dei mercanti all’interno della santa piazza antistante il Tempio (il cosiddetto Atrio).
Ricordiamo la scena, un tantino spoilerando. Gesù e gli Apostoli sono ospitati in Gerusalemme, da una ricca donna pagana convertita. La notte prima, mentre tutti dormono, Gesù prende dalla sua cassetta di legno pei pezzi di cuoio e un coltello (era di formazione falegname). Si siede a un tavolinetto e prepara una lunga, flessibile, fune (si è svegliato Pietro e, di nascosto, lo osserva).
La mattina dopo è una bella giornata di sole, Gesù si reca al Tempio. Il luogo brulica di circa un «milione di persone» (come dirà Caifa), giunte da ogni luogo per la festa di Pasqua. Tutti acquistano un animale, piccolo o grande, dalla colomba a un quadrupede, in base alla «gravità dei peccati» da farsi perdonare. I cambiavalute applicano dei tassi altissimi, per esempio dalle dracme greche alla moneta locale si prendono il 30% in più (gli antichi dazi!) e, dunque, insieme ai venditori di animali che non fanno sconti, si approfittano della santa Festa.
Migliaia di animali sono ospitati in gabbie (colombe e tortore), o tenuti dai venditori tramite cordicelle, accanto ai loro banchetti (agnelli, pecore, caprette, buoi: tutti maschi e senza difetti). L’area, come detto, è quella dell’Atrio, spazio un tempo sacro, che introduce al Tempio vero e proprio.
Ecco la camera sui volti dei venditori colti nel gridare prezzi e prodotti; i fedeli si accalcano, cercano invano di contrattare, e poi acquistano gli animali più economici (spesso due colombi: come avevano fatto Giuseppe e Maria il giorno della presentazione del Bambino al Tempio).
Gesù inizia a rimproverare ad alta voce i mercanti e con colpi di fune, aggancia le gambe di sgabelli, banchi e banchetti, e getta tutto in terra. Jenkins adotta il montaggio alternato degli oggetti a gambe all’aria, con le monete mentre si sparigliano sul mattonato di pietra, i primi piani dei venditori sbalorditi, il volto di Gesù (dal primo piano al primissimo piano), sempre più scandalizzato e “furioso” (inquadrature di due secondi).
L’espressione arrabbiata di Gesù si giova probabilmente anche dal trucco, incluso il maso aquilino di Jonathan Roumie, da rendere il suo profilo meno immaginetta e più uno di noi, sul modello del Gesù di Robert Le Vigan. Jenkins, nel casting, ha rifiutato la soluzione del volto dai tratti regolari (naso perfetto, bocca non troppo grande, le guance leggermente incavate, gli occhi e i capelli chiari) alla Robert Powell, immagine costruita sulla tradizione rinascimentale, cui Franco Zeffirelli era legato, e, va detto, ormai nell’immaginario di milioni di spettatori. Per Jenkins era ora di un Gesù dal profilo «simpatico», col naso «romano», alla Roumie.
The Chosen, la cui sceneggiatura si avvale di tre specialisti (un rabbino ebreo messianico, un prete cattolico romano, uno studioso evangelico), cura anche passaggi testuali che spesso sfuggono al lettore. Come il passo di Giovanni (Giov. 11-12) in cui si ricorda come il Sinedrio intendesse uccidere, oltre Gesù, anche Lazzaro, così si sarebbe risolto il problema «della sua finta resurrezione». E il regista dedica una eloquente inquadratura di taglio obliquo a tale intenzione espressa dai notabili del Sinedrio, micro-episodio assente in altri film dedicati a Gesù.
La regia di Jenkins nel gestire, all’interno di una complicata scenografia, il muoversi di attori, comparse, figuranti, è sintatticamente costruita sul cambio rapido e frequente dell’asse di ripresa (necessari, ad esempio, i demi-plongée sul forsennato formicolio del mercato dall’alto della balaustra che limita un lato dell’Atrio); un’armonia razionale, alla Mondrian, che evita un finto barocchismo cui le scene di massa si potevano offrire.