Dopo l’assassinio di Kirk, emergono tensioni sul rapporto con Israele anche tra gli stessi conservatori Usa

  • Postato il 19 settembre 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

di Roberto Iannuzzi *

L’assassinio dell’attivista conservatore Charlie Kirk dà un’ulteriore accelerata alla crisi che sta disgregando il tessuto socio-politico americano. L’intensificarsi della violenza politica è un sintomo del declino statunitense. Essa ha colpito esponenti repubblicani e democratici, e non ha risparmiato neanche il presidente Donald Trump, vittima di due falliti attentati.

Ma quella fra repubblicani e democratici non è l’unica contrapposizione che interviene nel caso Kirk. Non va sottovalutata quella interna all’area conservatrice, e in particolare al movimento MAGA (Make America Great Again) che costituisce la base di Trump. Questa seconda contrapposizione ruota attorno al ruolo di Israele, soprattutto nel trascinare gli Stati Uniti in avventurismi militari all’estero che contrastano con il principio “America First” tanto caro ai trumpiani.

La relazione con il caso Kirk si comprende ripercorrendo l’evoluzione politica del giovane attivista. Egli lanciò il suo movimento Turning Point Usa (TpUsa) quando era ancora giovanissimo, finanziato da istituzioni neocon e filoisraeliane come il David Horowitz Freedom Center. TpUsa sarebbe diventato il più grande movimento conservatore giovanile in America. Kirk, che ha spesso assunto posizioni razziste, sessiste e islamofobe, si è anche dimostrato uno strenuo sostenitore di Israele accettando viaggi sponsorizzati nello Stato ebraico.
Pur continuando a definirsi filoisraeliano, egli aveva però messo in dubbio la narrazione israeliana del 7 ottobre, e affermato che il governo Netanyahu stava cercando di ripulire etnicamente Gaza.

Sebbene abbia sostenuto fino all’ultimo alcune tesi della narrazione israeliana, come il fatto che non vi sarebbe una carestia pianificata a Gaza, Kirk aveva cominciato ad assumere posizioni contrarie a Israele in altri casi, affermando ad esempio che Jeffrey Epstein, l’imprenditore americano noto per essere al centro di una rete di sfruttamento sessuale di minorenni nella quale erano implicati personaggi potenti, era un agente del Mossad.

L’evoluzione, non priva di contraddizioni, di Kirk va di pari passo con un cambiamento degli umori nella base conservatrice americana, nella quale ormai solo il 24% dei giovani repubblicani (tra i 18 e i 34 anni) simpatizza per Israele. Questo cambiamento va inserito nel più ampio contesto di una crescente avversione dell’opinione pubblica americana verso Israele, accusato di atti genocidari a Gaza, al punto che lo stesso Trump aveva provato a mettere in guardia pubblicamente l’alleato.

Un punto di svolta è rappresentato dal vertice del movimento TpUsa dello scorso luglio, al quale Kirk aveva invitato beniamini dell’area conservatrice apertamente critici di Israele come Tucker Carlson, Megyn Kelly e il comico ebreo antisionista Dave Smith. Essi avevano trasformato l’evento in una piattaforma di denuncia non solo del massacro di Gaza, ma dell’indebita influenza israeliana negli Usa. Ciò ha toccato un nervo scoperto in Israele, tanto che il ministro israeliano Amichai Chikli aveva espresso a Kirk il suo disappunto in una lettera aperta su X (Twitter). Ma il giovane attivista americano si era anche pubblicamente lamentato, in un’intervista con Megyn Kelly, di aver ricevuto messaggi intimidatori da parte di importanti esponenti filoisraeliani negli Usa.

Il risultato è che, dopo il suo assassinio, una parte consistente della galassia MAGA è insorta accusando Israele di averlo eliminato, anche a seguito di voci diffusesi già ad agosto (come quella del commentatore conservatore Harrison Smith) secondo le quali Kirk temeva per la sua vita. Le accuse hanno raggiunto dimensioni tali da costringere il premier israeliano Benjamin Netanyahu a rilasciare un’intervista sul canale americano Newsmax per smentire queste “teorie della cospirazione”. L’intervista si inserisce in una serie di interventi del leader israeliano nel quale egli si è sforzato di dipingere Kirk come un filoisraeliano senza tentennamenti. Senza tuttavia sortire gli effetti sperati.

Emblematica la reazione di Steve Bannon, leader della prima ora del movimento MAGA, a un’intervista rilasciata da Netanyahu al sito Breitbart, megafono dell’area conservatrice più radicale, nella quale il premier israeliano affermava in sostanza che criticare Israele significa essere antiamericani e anti-Trump. Bannon ha risposto che ai cittadini americani non importa nulla dei pensieri di Netanyahu sul movimento MAGA. Piuttosto, ha aggiunto crudamente, “a loro interessa smascherare le tue patologiche bugie per tenerci fuori dalla tua prossima guerra”. Queste dure parole sono indicative di un’area crescente, all’interno dei conservatori americani, secondo la quale l’appoggio incondizionato a Israele non fa altro che aggravare i problemi degli Stati Uniti in Medio Oriente – un’idea condivisa non solo dalla base, ma anche da think tank come il Quincy Institute.

Il commentatore ebreo americano MJ Rosenberg vede la questione da un punto di vista leggermente diverso. Secondo lui, l’estrema destra americana, da sempre antisemita, usava “l’amore per Israele” come copertura. “Quella copertura è svanita”, sostiene Rosenberg, “non per una preoccupazione verso i palestinesi, ma perché Israele ostacola la sua visione dell’ ‘America First’”. Egli conclude che le attuali politiche israeliane danneggiano non solo Israele, ma gli ebrei nel mondo. Di certo esse hanno scavato un solco tra Israele e la base trumpiana, che il presidente americano avrà crescente difficoltà a gestire.

*Autore del libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana” (2024).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

L'articolo Dopo l’assassinio di Kirk, emergono tensioni sul rapporto con Israele anche tra gli stessi conservatori Usa proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti