Donne e lavoro, l’Italia resta fanalino di coda nella Ue. E i dipendenti maschi guadagnano 6mila euro l’anno in più

Il tasso di occupazione delle donne italiane sta aumentando ma troppo poco e troppo lentamente. A gennaio è salito al 53,5%, lo 0,5% in più rispetto a un anno prima, ma resta comunque il più basso tra i 27 paesi dell’Unione. Tra 2008 e 2024 è cresciuto di 6 punti contro gli 8,6 del resto della Ue. Non solo: il progresso è dovuto soprattutto al segmento delle ultracinquantenni. Per le 25-34enni si è fermato a 1,4 punti. Il Rapporto Cnel-Istat “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità”, presentato in vista dell’8 marzo, mostra che nonostante il buon andamento del mercato del lavoro il divario di genere non accenna a chiudersi. Così come il differenziale delle retribuzioni: in media i dipendenti maschi guadagnano 6mila euro in più all’anno.

Il gap di genere nel tasso di occupazione è quasi il doppio della media Ue: 17,4 punti contro 9,1 punti. Le differenze si accentuano ulteriormente nel Mezzogiorno, dove la distanza tra i tassi di occupazione femminile e maschile passa da 14,2 punti per classe 15-34 anni a quasi il triplo per le 50-64enni (33,1 punti in meno rispetto agli uomini). Mentre tutte le regioni del Nord e del Centro, tranne il Lazio, hanno raggiunto l’obiettivo previsto dalla Strategia di Lisbona 2010, pari al 60%, nessuna regione meridionale ci è arrivata.

I dati sulla qualità del lavoro aggravano il quadro. Mentre tra gli uomini circa sette occupati su dieci possono contare su un lavoro standard (dipendente a tempo indeterminato o autonomo con dipendenti), tra le donne sono in questa situazione poco più della metà delle occupate (53,9%). Quasi un quarto delle donne che lavora presenta uno o più elementi di vulnerabilità: per esempio è dipendente a tempo determinato o a part time involontario. Contro il 13,8% gli uomini. Risultano più spesso vulnerabili le lavoratrici giovani (38,7%), residenti nel Sud (31,2%), con bassa istruzione (31,7% per le donne che hanno fino alla licenza media) e straniere (36,5%).

Tra il 2008 e il 2023 – spiega il Rapporto – è calata di oltre sei punti la quota di coppie in cui solo l’uomo lavora, provvedendo alle necessità finanziarie della famiglia (dal 33,5 al 25,2%). Nel confronto europeo l’Italia si colloca comunque al terzo posto (dopo Grecia e Romania) per diffusione del modello monoreddito maschile, lontana dalla media Ue del 16,1%. Risultano però in aumento nel nostro paese le coppie paritarie, in cui entrambi i partner lavorano e hanno redditi da lavoro di livello simile (dal 27,8 al 29,8%).

Vivere in una coppia in cui i partner contribuiscono in egual modo al proprio reddito, rivela lo studio Cnel-Istat, migliora il benessere soggettivo: il 63% dei partner di coppie paritarie si dice molto soddisfatto della vita, a fronte di percentuali di circa il 40% dei partner di coppie monoreddito maschile. Anche a parità di altre condizioni, sono avvantaggiate le donne che vivono in una coppia paritaria.

Il 69,3% delle donne che vivono da sole ha un impiego, percentuale che scende al 62,9% tra le madri sole e al 57,2% tra le madri in coppia. Viceversa, tra gli uomini il tasso di occupazione per i single è di circa il 77% e arriva all86,3% per i padri in coppia. Tra i 25 e i 34 anni meno della metà delle madri risulta occupata. Le disparità a livello territoriale appaiono molto importanti, legandosi anche alla diversa disponibilità di servizi per la prima infanzia: mentre nelle regioni del Nord e del Centro il tasso di occupazione delle madri supera o sfiora il 70%, nel Mezzogiorno si attesta poco sopra il 40%.

Le disoccupate sono poco meno di un milione e quelle di lunga durata, cioè in cerca di lavoro da un anno o più, corrispondono al 54,3%. Le inattive sono oltre 7,8 milioni e per un terzo a causa di motivazioni familiari. Quasi 600mila donne non cercano lavoro perché scoraggiate, convinte di non riuscire a trovare un impiego. Questo nonostante grazie al maggiore investimento in formazione siano mediamente più istruite degli uomini. Il 68% delle 25-64enni ha almeno un diploma o una qualifica, contro il 62,9% degli uomini. Il 24,9% è in possesso di un titolo terziario, contro il 18,3% degli uomini. Ma questo non si traduce in un vantaggio lavorativo.

Permane una marcata segregazione orizzontale: circa la metà dell’occupazione femminile risulta concentrata in sole 21 professioni, mentre per gli uomini questo valore raggiunge ben 53. Anche la segregazione verticale (tetto di cristallo) continua ad essere una realtà. In Italia le parlamentari donna, sottolinea lo studio, sono il 33,6%. La quota di donne elette nei consigli regionali si ferma al 24,5%. Per quel che riguarda le imprese, solo il 28,8% è a conduzione femminile. La quota di imprenditrici è in crescita, in tutte le classi di età, ma soprattutto tra le under 35 (+2,3 punti). Nonostante dal 2015 al 2022 il monte retributivo annuo delle donne occupate sia cresciuto in termini reali del 5% (contro il 3,2% degli uomini), il differenziale di genere tra le retribuzioni medie resta marcato, superiore ai 6mila euro su base annua a vantaggio dei dipendenti maschi.

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