Diritto all’affettività in carcere: tutto fermo un anno dopo la sentenza della Consulta. A Padova il ministero ha bloccato il progetto già pronto
- Postato il 17 febbraio 2025
- Diritti
- Di Il Fatto Quotidiano
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“La durata dei colloqui intimi deve essere adeguata all’obiettivo di consentire al detenuto e al suo partner un’espressione piena dell’affettività, che non necessariamente implica una declinazione sessuale, ma neppure la esclude”. Con queste parole a gennaio 2024 la Corte costituzionale ha trasformato una battaglia di civiltà in un principio del nostro ordinamento, con una sentenza considerata storica. Un anno dopo, però, il diritto all’affettività in carcere resta una conquista astratta e non (o non solo) per mancanza di strutture o risorse.
Il caso del carcere di Padova è emblematico: all’indomani della sentenza, grazie a una volontaria dell’istituto e di concerto con la direzione, è stato avviato un confronto per valutare come garantire l’intimità ai detenuti durante i colloqui con i familiari. Del progetto si è incaricato l’architetto Cesare Burdese, esperto di architettura penitenziaria, che ha disegnato quattro piccoli padiglioni (così come ipotizzato dal verdetto della Consulta) da realizzare vicino all’ingresso del carcere, ciascuno con un soggiorno dotato di angolo cottura, una camera da letto per due, un bagno e zone esterne coperte. Ai lavori avrebbero preso parte anche i detenuti insieme a un’impresa edile, mentre il budget sarebbe potuto arrivare dalla Cassa delle ammende, che finanzia proprio il reinserimento socio-lavorativo delle persone sottoposte a restrizioni della libertà. L’iter ha subito una brusca battuta d’arresto dopo le parole del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari: “In proposito non esiste alcuna autorizzazione specifica riguardante la casa di reclusione Due Palazzi di Padova o altro istituto in Italia”, ha dichiarato a febbraio 2024. “Era tutto pronto, ma mi è stata negata la possibilità di accedere al carcere per il sopralluogo. La volontaria non ha più avuto l’autorizzazione per farmi entrare”, spiega Burdese, che in passato ha collaborato alla progettazione degli istituti di Bolzano, San Vito al Tagliamento e del carcere minorile di Torino. Così il progetto è rimasto sulla carta.
Nella stessa occasione il sottosegretario ha promesso di creare “un tavolo di lavoro per approfondire la questione“, poi incardinato presso il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e coordinato dal suo direttore. Il team di lavoro è composto da direttori delle carceri, magistrati, docenti universitari e tecnici interni all’Amministrazione, che tra le altre cose dovrebbero definire i requisiti architettonici dei nuovi locali. Fino a poco tempo fa ne faceva parte (a titolo gratuito) anche Marella Santangelo, direttrice del Dipartimento di architettura all’Università Federico II di Napoli e delegata del Rettore al polo universitario del carcere di Secondigliano. “Insieme al capo dell’ufficio tecnico del Dap ci siamo messi a lavorare attingendo ai miei lavori precedenti. Abbiamo realizzato un progetto-prototipo sul carcere di Secondigliano, che sorge su un terreno da 400mila metri quadrati e ospita per l’80% detenuti in regime di alta sicurezza. Abbiamo fatto diversi sopralluoghi, siamo arrivati a un progetto esecutivo e prodotto una valutazione sommaria dei costi, tutto con il beneplacito della direzione”, spiega al Fattoquotidiano.it. A fine dicembre però la docente ha rassegnato le dimissioni. “Ho mandato tutto il materiale al Dap e ho atteso una risposta, delle indicazioni. Invece ho ricevuto un silenzio assordante. Mi spiace che sia morta lì, perché è una cosa che si può cominciare a fare domani”, commenta.
Già la Consulta nella sentenza aveva suggerito delle soluzioni pratiche, mutuate da altri Paesi che da tempo consentono i colloqui privati senza controllo a vista (nel Consiglio d’Europa lo prevedono in 31). “Può ipotizzarsi che le visite a tutela dell’affettività si svolgano in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente di tipo domestico”, vi si legge. Di recente anche la Cassazione ha ribadito l’obbligo, ribaltando la decisione di un magistrato di sorveglianza che aveva dichiarato inammissibile il reclamo di un detenuto ad Asti. In quel caso la direzione del carcere aveva negato il diritto a incontrare privatamente la partner perché “la struttura non lo consente”. Alcuni istituti hanno già degli spazi sperimentali, come la Ma.Ma di Renzo Piano per le mamme detenute a Rebibbia e la “casetta rossa” a Bollate, ma nessuno domani sarebbe in grado di soddisfare le domande di tutti i reclusi. Il 26 febbraio i Garanti dei detenuti di tutta Italia incontreranno il ministro Nordio e il dossier sarà sul tavolo. Nel frattempo ai primi di dicembre la deputata dem Debora Serracchiani ha chiesto conto del ritardo in un’interrogazione parlamentare. Il ministro ha replicato che ci sta lavorando il “gruppo di studio multidisciplinare”, ma sui tempi ha glissato.
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