Diciotti: non conviene salvare i migranti invece di dover risarcire familiari dei morti e sopravvissuti?
- Postato il 8 marzo 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Alla pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sul caso Diciotti e sui futuri scenari risarcitori sono seguite reazioni molto forti e poco istituzionali da parte della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, di taluni Ministri (il vicepremier Matteo Salvini in pole position) e diversi parlamentari. Si è letto che questa sentenza, “vergognosa” (Salvini), comporterebbe ricadute drammatiche sui cittadini che pagano le tasse e sul Governo stesso, tutti costretti dalla Suprema corte a “dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare”. I risarcimenti – ancora da riconoscere quanto al “se” e da quantificarsi (la Cassazione ha rinviato alla Corte di Appello di Roma) – sono stati demonizzati dinanzi ai cittadini, posti così in conflitto diretto con i migranti (una sorta di guerra tra poveri in un’epoca in cui la politica alimenta troppo i conflitti sociali).
Dinanzi a questi attacchi alla Cassazione ed al binomio violazione dei diritti umani-tutela risarcitoria, occorre spiegare non tanto ai nostri rappresentanti istituzionali, ma ai cittadini – che meritano rispetto e informazioni corrette – la portata di questa sentenza e di altre che inevitabilmente seguiranno: purtroppo, è da anni che si ripetono inadempimenti statali ai fondamentali obblighi di garantire la salvaguardia della vita dei migranti in mare e diritti umani quali la libertà e dignità stessa degli immigrati una volta giunti a terra, e, quindi, non potranno che seguire altre cause di questo tipo.
Il primo chiarimento da effettuarsi è il seguente: con la sentenza Diciotti la Suprema corte non ha affermato principi inediti, non si è inventata d’emblée regole mai viste prima. L’affermazione della giustiziabilità, a fini risarcitori, delle condotte di Governo e Ministeri lesive di diritti fondamentali poggia su sentenze sovranazionali e nazionali consolidate.
In secondo luogo, se la Cassazione non si fosse espressa nei termini di cui alla sentenza del 6 marzo, per i danneggiati si sarebbe aperta la strada verso la Corte Europea dei Diritto dell’Uomo con medesimo esito: risarcimento dei danni. In breve, la Suprema Corte ha scongiurato una condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo.
Soprattutto, deve essere chiaro come i risarcimenti costituiscano una forma di tutela necessaria dinanzi alla violazione sistematica dei diritti dell’uomo: infatti, anche a fronte delle difficoltà che il “sistema Giustizia” incontra nel sanzionare penalmente i responsabili – il caso della Diciotti lo dimostra – il risarcimento dei danni tende ad essere nella pratica l’unica forma di rimedio concretamente disponibile per chi abbia subito gravissime infrazioni ai propri diritti fondamentali.
Come ovvio, i risarcimenti servono a riparare le conseguenze morali o economiche degli illeciti. Ma diversi altri sono gli scopi che perseguono. Svolgono una funzione esemplare a fini di deterrenza e, comunque, di prevenzione: riconoscere risarcimenti alle vittime dovrebbe incentivare le istituzioni – lo insegna l’analisi economica del diritto da diversi decenni – a prevenire i danni, ad investire in persone e mezzi per arginare il più possibile i rischi di incidenti.
A voler ragionare in termini esclusivamente economici, conviene salvare i migranti piuttosto che dover risarcire famigliari dei morti e sopravvissuti nei naufragi. Un Governo, che guarda con orrore le condanne risarcitorie, ma non comprendere che avrebbe potuto scongiurarle ed ha pure la pretesa di addossarle alle vittime, difetta di qualsiasi nozione giuridica ed economica in merito alle logiche dei risarcimenti, nonostante due secoli di evoluzione dei sistemi di responsabilità civile. Si tratta di analfabetismo del diritto.
La partita che si giocherà nei processi penali e civili in relazione alla tragedia occorsa a Cutro, capace di costare allo Stato anche oltre 300 milioni di euro – è proprio questa: fare comprendere allo Stato che le vite dei migranti non valgono zero, ma quanto le consideriamo in termini risarcitori nei nostri tribunali in relazione a eventi quali sinistri stradali, infortuni sul lavoro, sinistri sportivi o responsabilità mediche. Sarà opportuno che casi come Cutro – una delle tragedie simbolo del disastro umanitario cui stiamo assistendo – attestino il profilo solidaristico dei risarcimenti in relazione ai naufragi degli immigranti: volti a evitare i naufragi. Ma dovrà essere chiaro ai cittadini che tali risarcimenti non saranno colpa delle vittime, ma di chi – lo Stato – doveva e poteva scongiurare tali naufragi. Governo e Parlamento possono e devono evitarci questo futuro all’insegna della cultura risarcitoria.
Come logico, 94 morti (fra i quali 34 minori) – questa è la magnitudine della tragedia di Cutro in relazione alla quale questo Governo ha peraltro fatto promesse risarcitorie non mantenute – implicano liquidazioni di gran lunga superiori rispetto a quelle dovute ai migranti a bordo della Diciotti. Questi hanno sì subito gravi violazioni dei loro diritti, ma sono sopravvissuti e possono aspirare – magari con l’aiuto anche di risarcimenti – ad una vita migliore, senza l’incubo quotidiano di parenti morti.
Di che somme stiamo parlando? I risarcimenti per danni del tipo in questione non si reggono su valori prefissati, su tabelle. Vige il principio della valutazione in via equitativa “pura”. Volendo immaginare, senza che necessariamente questo sia il criterio giusto (invero non lo è), di attribuire a ciascun migrante, a titolo di danno non patrimoniale, una somma al giorno di costrizione a bordo della Diciotti pari a quella che si attribuisce nei tribunali per un giorno di invalidità temporanea massima (Euro 115,00 secondo la tabella milanese) si perverrebbe ad una somma complessiva di poco più di Euro 200.000,00. Non propriamente una “vergogna”! Anzi, se questo fosse l’approdo finale della vicenda risarcitoria della Diciotti – si spera non lo sia in questi termini minimali – ci sarebbe da chiedersi quanto sia soddisfatto lo scopo deterrente della tutela risarcitoria.
Un’ultima precisazione. La Cassazione ha concepito il danno da liquidarsi in capo ai migranti della Diciotti non già in termini punitivi, ma di riparazione dei pregiudizi concretamente subiti da ciascun danneggiato. Tuttavia, dinanzi a gravi violazioni dei diritti umani – riconducibili non già a condotte episodiche ma ad una gestione sistematicamente illecita dell’approdo dei migranti sulle nostre coste e quindi a “sinistri” di tipo organizzativo connotati da dolo eventuale – il danno punitivo non sarebbe affatto fuori luogo: risulta imposto dalla Costituzione che – art. 3 – non parrebbe tollerare che condotte colpose imputabili a mere distrazioni o colpe lievi addebitabili privati cittadini (non gravati dalle responsabilità sociali delle istituzioni) siano sanzionate, sul piano risarcitorio, in misura uguale a quelle di uno Stato che – insieme all’Unione Europea – assiste da decenni a gravissime tragedie del mare non solo minimizzando gli sforzi per scongiurarle, ma anzi ostacolando le organizzazioni umanitarie specializzate nei soccorsi in mare.
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