Di afa o di gelo, di fame o di pioggia: il Friuli Venezia Giulia lancia l’allarme per la morte delle api
- Postato il 17 giugno 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Quando muoiono, non fanno alcun rumore. Quando si dissolvono, i ghiacciai all’estremo nord italiano, lo fanno in silenzio, senza ultimo grido d’addio alle vette. Il Friuli Venezia Giulia è terra di frontiera, non solo sulle mappe geografiche: oggi si trova anche al limes più estremo del riscaldamento globale. Nel catasto dei ghiacciai, dal 2020, quelli friuliani risultano in fase di declino avanzato, classificati con un’espressione che suona come una condanna: “regressione irreversibile”. Gli abitanti partecipano ai loro “funerali”: i “Requiem per i ghiacciai” ci sono stati anche per alcuni dei picchi del gruppo del Canin nelle Alpi Giulie, oggi ormai fantasma. L’ultimo ghiacciaio che resiste, quello Occidentale del Montasio, rischia di scomparire come gli altri otto corpi glaciali di cui sono rimasti solo resti.
Il cuore friulano è sempre meno freddo a causa di temperature inedite che lasciano a secco pendii che non hanno più gelo sulla roccia. Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato in Friuli nell’ultimo secolo, ma anche nel 2022, solo due anni prima, il record era stato lo stesso. A maggio, nella regione, è già luglio: non secondo i calendari o gli orologi, ma secondo i termometri che registrano in primavera picchi delle temperature che dovrebbero arrivare d’estate. La neve rischia di rimanere solo nei ricordi degli abitanti che ora, dopo il requiem per i ghiacciai, non vogliono celebrare quello per le loro api. Il cambiamento climatico, a Udine e dintorni, sta dimezzando anche le impollinatrici.
Il 20 maggio scorso, nella Giornata mondiale delle api, Coldiretti ha lanciato l’allarme: il riscaldamento globale causa gelate improvvise quanto improvvise calure, la sempre più prematura fioritura delle piante, una sempre peggiore siccità estiva minacciano le colonie di api. La produzione delle arnie è annichilita, in alcuni casi oscilla poco lontano dallo zero, quando non è nulla. Rischia di scomparire in tutta Europa il 9,2% di questi insetti responsabili del 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali sul Pianeta e a ogni latitudine gli apicoltori stanno affrontando le stesse emergenze che descrivono con la stessa parola: disastro. Ancora poche regioni in Italia lo dicono ad alta voce: in Friuli, per le loro api, invece l’hanno levata.
Morte di afa o gelo. Morte di fame, morte di pioggia. Morte per veleni o per attacchi di “nemici” – i parassiti. Il 2024 per gli apicoltori friulani è stato un anno nero ed è lo stesso colore con cui vedono tingersi questo rovente 2025. Contributi straordinari pro alveare per salvare le arnie – per mettere in sicurezza almeno la metà dei 38mila alveari presenti sul territorio di duemila agricoltori – sono stati promessi durante un recente summit del consorzio degli apicoltori, quello in cui presidente Marco Feletting ha parlato di “anno disastroso, l’ultimo di una serie di stagioni infelici per l’apicoltura”: il settore si trova davanti “una sfida epocale”. Questa sfida ambientale è anche economica: come le arnie, rischiano di fallire, a cascata, le aziende per calo produttivo o reddituale.
Nel 2019 in Friuli fu proprio grazie alle api che si risalì ai responsabili di un disastro ambientale. La procura di Udine ha messo sotto inchiesta quattrocento agricoltori e sequestrato oltre duecento fondi di mais per l’uso di un pesticida che aveva causato una strage nelle arnie, dove era penetrato il veleno. Oggi, invece, nell’ultimo bilancio di sostenibilità territoriale, per la tutela della biodiversità, è stato inserito il progetto “Apicoltura urbana” per monitorare lo stato di salute dell’ambiente proprio da quello di miele e polline.
Il Wwf ha dichiarato le api “eroine del cambiamento climatico”, ma tra le valli del Friuli, come nel resto del mondo, “la pacifica coesistenza tra esseri umani, piante e impollinatori è in pericolo”. “Negli ultimi 40 anni, la salute degli impollinatori, in particolare delle api, ha subito il più grande declino della storia umana. Dalla perdita dell’habitat, alla sfasatura temporale fino alla produzione di miele, il cambiamento climatico ha implicazioni pericolose per la sopravvivenza degli insetti” ha scritto la fondazione Best Bee. Le api intorno hanno sempre più cemento e sempre meno verde. Bevono acqua (necessaria per produrre il miele) e sempre meno spesso ne trovano di pulita. In Friuli, all’incrocio delle emergenze che si sovrappongono, cola ancora quella pioggia d’oro di miele che producono le impollinatrici, ma presto potrebbe finire. Per fare tutto – un tavolo, un palazzo, una fabbrica – ci vuole un fiore, come diceva la canzone di Rodari. Ma per fare quel fiore ci vuole un’ape.
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