Detenuti, è un mestiere la chiave del riscatto

  • Postato il 19 giugno 2025
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Detenuti, è un mestiere la chiave del riscatto

Renato Brunetta

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Brunetta: “Costruire un ponte tra il carcere e la società”, la chiave del riscatto per i detenuti è il mestiere. Il report del Cnel su “Recidiva zero”


Il detto è che «il lavoro nobilita l’uomo», un principio riconosciuto tra l’altro come pilastro democratico nel primo articolo della Costituzione. E ciò assume un valore ancor più significativo se applicato al mondo del carcere, dove lavorare ha un impatto sorprendente in termini di abbattimento notevole della recidiva. Il 98% delle persone che imparano un mestiere dietro le sbarre, quando tornano in libertà non commettono più delitti. Un dato rilevato dal Cnel nel Report della II edizione di ‘Recidiva Zero’, una iniziativa che si inserisce nel quadro dell’Accordo interistituzionale sottoscritto nel giugno 2023 tra lo stesso Cnel e il Ministero della Giustizia e che fa seguito alla prima edizione che si è tenuta il 16 aprile dello scorso anno.

Il progetto evidenzia il lavoro come strumento chiave per il reinserimento sociale: se la recidiva generale è del 70%, scende drasticamente al 2% per i detenuti che lavorano. «L’obiettivo di Recidiva Zero – ha affermato il presidente del Cnel Renato Brunetta – è costruire un ponte tra il carcere e la società, riportando lavoro e istruzione al centro di un grande progetto di inclusione sociale. Un progetto che vede coinvolti imprese, sindacati, volontariato, scuola e università, enti locali. Spendiamo ogni anno 3,5 miliardi di euro per il sistema penitenziario, ma il risultato è un dato allarmante: oltre il 70% di recidiva. Il nostro impegno è colmare questo divario. Per questo abbiamo siglato un protocollo d’intesa con le 16 principali Organizzazioni datoriali presenti al Cnel».

Una grande alleanza tra società civile e carceri. E l’impegno concreto di portare iniziative imprenditoriali in tutti i 189 istituti penitenziari italiani, recuperando spazi inutilizzati e creando opportunità reali anche per il lavoro esterno.
Secondo passo importante: l’utilizzo nel mondo delle carceri del Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa (SIISL), realizzato dal Ministero del Lavoro e dall’INPS. E poi nuove regole per un futuro più giusto, con l’accordo tra Cnel e Anac, grazie al quale anche il Codice dei contratti pubblici diventa leva per l’inclusione».

Il Guardasigilli Carlo Nordio parla della necessità di «coniugare ciò che è necessario avvenga in carcere e ciò che deve avvenire dopo», ed inquadra il dato positivo del progetto che ha portato nelle carceri un «filo di speranza se non proprio di ottimismo»: dal report diffuso dal Cnel emerge che tra il 2004 e il 2024 il numero totale dei detenuti lavoranti è passato da 14.686 (pari al 26,6%) a 21.235 (34,3%). La variazione in 21 anni, è stata del 44,6%.

«Dei 3172 reclusi alle dipendenze di terzi – ha sottolineato il capo del Dap Stefano Carmine De Michele – 1151 svolgono attività lavorativa all’interno degli istituti, 898 sono impegnati al lavoro all’esterno e 1123 sono i semiliberi. Sono 7600 invece gli stranieri, il 38,5% del numero complessivo». De Michele sottolinea che nel 2025 sono pervenute 730 richieste di autorizzazione da parte di imprese e cooperative, per un importo di sgravi fiscali che supera i 12,7 milioni di euro.

Per Sergio Sottani, procuratore generale della Repubblica di Perugia, «la legge Smuraglia, che offre sgravi fiscali per l’assunzione di detenuti, è fondamentale ma ostacolata da diffidenza e posti limitati».
Gli fa eco il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli: «Lo spirito dell’iniziativa – fa notare – è fare in modo che il carcere non sia un luogo separato, dimenticato, di separazione, dove regna l’immobilità». Non è un caso che anche il presidente del Senato Ignazio La Russa, che di recente ha aperto alla liberazione anticipata contenuta nella proposta Giachetti per dare un minimo di ossigeno al preoccupante sovraffollamento carcerario, abbia sottolineato che occorre dare forza a «un’equazione semplice: il lavoro diminuisce e in prospettiva abolisce la recidiva. E’ importante ribadire che accanto alla necessità che ci sia la certezza della pena vi siano anche condizioni civili per chi sta in carcere inclusa la possibilità di lavoro».

Il modello tradizionale del sistema penitenziario, come ha dichiarato Ernesto Napolillo, Direttore Generale dei detenuti e del trattamento, «concepisce il lavoro come strumento per ‘addomesticare l’anima’, un mezzo per riflettere sul proprio passato e guardare al futuro.
Tuttavia, è necessario ripensare questo approccio, poiché sappiamo che solo il 34% dei detenuti svolge un’attività lavorativa e, di questi, l’85% è impegnato alla dipendenza dell’amministrazione penitenziaria, quindi nel settore pubblico. Lo scenario diventa ancora più critico se si guarda al circuito dell’alta sicurezza, dove tutti i detenuti lavorano solo all’interno del carcere».

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