Deputato supplente e autonomia siciliana: continuità istituzionale o deviazione dalla storia statutaria?

  • Postato il 6 dicembre 2025
  • Editoriale
  • Di Paese Italia Press
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La riforma dello Statuto siciliano che introduce l’incompatibilità tra l’incarico di assessore regionale e quello di deputato dell’ l’Assemblea Regionale Siciliana
(Ars ) ha compiuto un passo decisivo con il primo via libera al Senato il 3 dicembre 2025, aprendo la strada a una modifica dell’articolo 9 dello Statuto speciale e a un ripensamento dei rapporti tra governo e Assemblea. Il percorso parlamentare non è concluso, ma il dibattito politico è già acceso.
La maggioranza difende una ristrutturazione dei ruoli istituzionali, mentre le opposizioni denunciano un intervento costruito su misura per le esigenze del governo regionale guidato da Renato Schifani.

La proposta nasce da un’osservazione pragmatica: in Sicilia il doppio incarico è prassi consolidata. Nelle ultime legislature, gli assessori scelti tra i deputati regionali sono stati spesso assenti dai lavori parlamentari, generando un conflitto tra responsabilità esecutiva e obbligo di presenza nell’Aula dell’Ars. La riforma introduce la figura del deputato supplente, destinata a sostituire temporaneamente il parlamentare nominato assessore, garantendo così la continuità della rappresentanza territoriale senza compromettere la separazione dei ruoli.

Il disegno di legge costituzionale stabilisce che il deputato che entra in Giunta venga sospeso e rimpiazzato da un supplente fino al termine dell’incarico. La legge regionale che disciplinerà modalità e limiti dovrà essere approvata a maggioranza assoluta e non potrà essere sottoposta a referendum statutario, circostanza che ha sollevato critiche da parte dell’opposizione, preoccupata per la riduzione dei meccanismi di controllo democratico.

Il punto che ha scatenato le maggiori tensioni riguarda l’entrata in vigore già durante l’attuale legislatura. Nell’attuale giunta Schifani, sei assessori sono anche deputati all’Ars; fino a poche settimane fa erano otto, prima della rimozione di due esponenti centristi coinvolti in un’inchiesta sulla sanità. Se la riforma diventasse immediatamente operativa, all’Aula subentrerebbero fino a dodici nuovi deputati, tra supplenti e subentri. Il confronto politico si intreccia con considerazioni economiche: le opposizioni stimano un aggravio di spesa attorno ai dodici milioni di euro l’anno tra stipendi, indennità e costi strutturali. La maggioranza, invece, ribadisce che il principio istituzionale supera la logica del mero costo.

La riforma si presta a due interpretazioni contrapposte, come se fosse osservata da due angoli opposti della stessa realtà istituzionale. Per la maggioranza di centrodestra, essa rappresenta un passo verso la maturità istituzionale della Sicilia. La separazione tra ruolo di governo e mandato parlamentare è vista come un rimedio alle ambiguità: l’assessore può concentrarsi sull’azione amministrativa, mentre il deputato supplente assicura che il territorio non resti privo di rappresentanza. Secondo questa visione, il supplente non è una figura accessoria, ma un correttivo tecnico che migliora la rappresentanza, chiarisce le responsabilità e rafforza il controllo dell’Aula sull’esecutivo. L’efficienza non si misura nella mera presenza fisica in Aula, ma nella qualità degli atti prodotti dall’esecutivo.

Dall’altra parte, la sinistra  legge la riforma come un intervento calibrato sull’esigenza contingente della maggioranza. Il deputato supplente viene interpretato come figura politicamente subordinata: deputati a tempo determinato, esposti al controllo dei vertici di partito, e quindi meno autonomi. Secondo l’opposizione, il rischio non è solo economico, ma politico: il supplente è legittimato dai calcoli elettorali, non dal mandato pieno degli elettori, e la possibilità di decadere in qualsiasi momento ne condiziona libertà e voce. L’abolizione del referendum statutario sulla legge regionale attuativa diventa simbolo di un sistema chiuso, incapace di sottoporre la propria regola fondamentale alla verifica popolare. In questa prospettiva, la riforma non separa i poteri, li ridisegna a vantaggio di chi governa.

Come spesso accade nelle riforme istituzionali, il valore non si esaurisce nel dettato normativo, ma emerge nell’uso e nell’interpretazione che se ne fa. La riforma svela due idee di istituzione: una che separa per rendere più chiaro e coerente il funzionamento del governo; l’altra che teme la separazione come una frattura artificiale. Il confronto è destinato a proseguire, perché la posta in gioco non riguarda solo l’ Ars di oggi, ma il modo in cui la Sicilia concepisce il proprio equilibrio tra Assemblea e Giunta nei prossimi anni.

Da un punto di vista tecnico e storico delle istituzioni politiche, la riforma rappresenta un esperimento  istituzionale articolato. Ossia  formalizza una separazione che in altri contesti si è consolidata per stratificazione culturale e prassi politica, mentre in Sicilia viene imposta attraverso un dispositivo normativo che rispecchia per così dire l’occasionalità, la contingenza appunto.   Ma la sua efficacia nel tempo dipenderà dalla capacità delle istituzioni di renderla  prassi stabile, al di là delle convenienze della maggioranza attuale.

La storia delle autonomie speciali italiane insegna che le norme funzionano quando anticipano i bisogni istituzionali, non quando inseguono i vantaggi contingenti. Il deputato supplente, quindi, è uno strumento che può rafforzare la separazione dei ruoli, ma la sua valenza politica e istituzionale sarà misurata solo dal tempo e dalla capacità della Sicilia di tradurre in prassi consolidata questo equilibrio delicato tra governo.
Tuttavia,  secondo gli analisti storico giuridici  la riforma mostra limiti significativi. Pur rispondendo a esigenze operative della Giunta, si discosta dai fondamenti storici e istituzionali dello Statuto siciliano. L’introduzione del supplente crea una rappresentanza parlamentare “derivata”  e temporanea, subordinata al mandato esecutivo di un assessore, e quindi condizionata da logiche di maggioranza – ribadiamo –  contingente. Questo meccanismo contrasta con il principio storico secondo cui il mandato parlamentare è titolare e direttamente legato alla volontà degli elettori, fondamento della legittimità dell’Assemblea regionale.

In questo senso, la riforma appare meno come una correzione istituzionale coerente e più come un intervento ad hoc, costruito per risolvere problemi di assetto politico immediato. Pur migliorando la continuità operativa della Giunta, essa introduce un precedente rischioso: quello di una flessibilità del mandato parlamentare che può indebolire la legittimità storica e costituzionale delle istituzioni siciliane. La sfida futura sarà dunque capire se il supplente potrà integrarsi come strumento stabile e coerente con l’autonomia regionale, oppure se rimarrà un dispositivo contingente, destinato a incidere sulla natura stessa della rappresentanza democratica in Sicilia. @Riproduzione riservata

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Mimma Cucinotta

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