Delitto di Garlasco, “su impronta 10 non c’è Dna o è impossibile estrarre profilo”
- Postato il 1 luglio 2025
- Giustizia
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Se c’è sangue è dell’assassino”. Ma l’ipotesi dei carabinieri di Milano sulla ‘traccia 10’, individuata sulla parte interna della porta di ingresso, non c’è Dna o ne è presente una quantità così minima da rendere quasi impossibile ipotizzare di poterne estrarre un profilo. Come riporta l’Adnkronos si tratta degli ultimi dati forniti dai periti ai consulenti nell’incidente probatorio della nuova inchiesta della Procura di Pavia che vede indagato per omicidio (in concorso) Andrea Sempio, amico del fratello della ventiseienne uccisa il 13 agosto 2007. Sulla traccia 10 – evidenziata già dall’agosto del 2007 dal Ris di Parma all’interno della villetta dove venne uccisa Chiara Poggi – come sulle altre impronte, circa 60, trovate e repertate nella villetta di Garlasco, non ci sono tracce genetiche utili. Gli investigatori all’epoca l’avevano invece considerata non utile perché aveva solo otto punti utili, e non i 16 necessari per una comparazione, quindi senza “una utilità giuridica”.
La ‘traccia 10’, trovata sulla parte interna della porta d’ingresso – non appartiene né a Sempio, né ad Alberto Stasi, l’allora fidanzato condannato in via definitiva a 16 anni di carcere. Però avrebbe potuto nella ricostruzione alternativa della procura di Pavia – al momento senza nessuna conferma – collocare da una terza persona sulla scena del crimine e lasciata dall’assassino uscendo dall’abitazione con le mani sporche di sangue.
Un’ipotesi investigativa già in parte smentita dall’assenza di sangue sull’impronta – l’Obti test nonostante abbia dato esito negativo verrà ripetuto su richiesta della difesa Stasi – e che ora data la quantità di Dna estratta dai fogli di acetato rende pressoché impossibile l’ipotesi di estrarne un profilo genetico con cui sostenere la tesi di più killer sulla scena del crimine. La difesa Stasi sperava di poter ricavare dall’impronta il secondo nome di chi, oltre a Sempio, avrebbe lasciato il suo Dna sulle unghie della vittima. Questi ultimi risultati, insieme agli esiti genetici raccolti sulla spazzatura conservata nell’abitazione di via Pascoli (ci sono solo tracce di Chiara Poggi e Alberto Stasi sui reperti, ndr), saranno al centro del confronto di venerdì 4 luglio quando ci sarà un altro appuntamento dell’incidente probatorio che vedrà protagonisti i periti incaricati dalla giudice di Pavia, Daniela Garlaschelli, e i consulenti di parte, quelli della famiglia Poggi insieme agli esperti nominati da Sempio e Stasi.
Sulla spazzatura conservata in casa Poggi i risultati (gli esiti su cui i consulenti sembrano concordare andranno ripetuti) hanno restituito la presenza del Dna di Stasi sulla cannuccia dell’Estathè, mentre la traccia genetica della vittima risulta evidente sul sacchetto dei cereali trovato nel salottino, sui due vasetti di Fruttolo, oltre che sullo stesso sacchetto del pattume. Anche l’ipotesi della Procura di Pavia che Chiara Poggi possa aver fatto colazione con i suoi assassini non trova fino a qui conferma.
Il prossimo appuntamento dell’incidente probatorio (fra tre giorni) vedrà l’analisi dei tamponi effettuati sulla vittima (all’epoca diedero esito negativo per le indagini) e l’approfondimento del frammento del tappetino del bagno su cui l’assassino lasciò le impronte delle suole insanguinate. Impronte a pallini che una perizia ha ricondotto a una scarpa numero 42 marca Frau, la stessa taglia che calza Stasi. In un’altra data, invece, verrà affrontato il punto cruciale dell’incidente probatorio: lo studio degli elettroferogrammi dei due Dna maschili trovati sui frammenti delle unghie di Chiara Poggi. Una traccia genetica per la difesa Stasi, così come per la Procura di Pavia, appartiene a Sempio. Nel processo d’appello bis che vedeva imputato Stasi una perizia affidata al genetista Francesco De Stefano giunse alla conclusione, condivisa da tutti, che quel Dna non era attribuibile a nessuno. Un elemento non utilizzabile che è già valso a Sempio l’archiviazione (otto anni fa). Il giudice per le indagini preliminari Flavio Lambertucci motivò l’archiviazione con l’assenza di “concreti elementi indiziari a carico”.
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