Dal mito all’orrore: a teatro La Città dei vivi trasforma l’omicidio Varani in un ritratto spietato della nostra società

  • Postato il 18 novembre 2025
  • Cultura
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Non attribuiamo i guai di Roma agli eccessi di popolazione. Quando i romani erano soltanto due, uno uccise l’altro”. È nel segno di questa affermazione di andreottiana memoria che debutta al teatro Fontana di Milano La città dei vivi, con la regia di Ivonne Capece, rielaborazione artistica dell’omonimo romanzo di Nicola Lagioia del 2020.

La storia è nota alle cronache: il testo affronta il caso dell’omicidio di Luca Varani, 23enne romano, adescato e poi torturato a morte da due ragazzi di buona famiglia, Marco Prato e Manuel Foffo, senza alcun movente specifico. Il romanzo non si limita alla cronaca, ma proietta l’evento su una Roma decadente, dove comandano violenza e corruzione, e su una società priva di etica e di empatia verso il prossimo.

Ed è proprio dalla figura simbolo del potere romano che prende il via lo spettacolo: una lupa maschio, al tempo stesso sacra e mostruosa, allatta i due assassini. Tutt’intorno, una scenografia di reperti classici pericolanti supporta luci al neon e video olografici, che aiutano lo spettatore a entrare nell’animo dei protagonisti: la gogna pubblica, la pervasività dei media, lo sdegno dei parenti fanno da sfondo al vortice in cui precipitano Manuel e Marco.

A interfacciarsi con loro, una figura multiforme: lo scrittore-artista, che indaga la psicologia dei personaggi del suo libro, interroga i propri fantasmi, spettri della sua coscienza. È così che scopriamo la frustrazione di Manuel, stretto tra la realtà della gestione di un ristorante e le sue ambizioni lavorative; e il cinismo di Marco, organizzatore di eventi gay, vittima di un mondo fatto di intrattenimento erotico e appuntamenti mordi e fuggi sulle app di incontri.

Entrambi cercano nell’alcol e nella droga una fuga all’oppressione che li soffoca, entrambi in dialogo con un padre assente e autoreferenziale: come riportano le note di regia, “tutti prigionieri dello stesso archetipo, di una trasmissione tossica del potere”. Nessuna figura femminile sullo sfondo, nessun simbolo di accoglienza ed empatia: tutto precipita nel nulla.

Roma diventa il palcoscenico di questo degrado, grandiosa e putrida al tempo stesso. Anche il monologo disperato del padre di Luca sulla violenza e sulle pene per i colpevoli, un’arringa da tribunale, cade nel vuoto: persino il personaggio di Luca torna in scena per poi andarsene davanti all’ennesima offerta di denaro in cambio di sesso.

Tutto si confonde: il piano reale con quello mentale, la responsabilità e la colpa, l’immaginazione e la lucidità. E così, senza più speranza di riscatto, vediamo aprirsi le porte dell’abisso, tra balli primordiali, scene di corrida e di sesso, cocaina e torture. Non l’apice della tragedia antica, ma la banalità del male contemporaneo.

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Lo spettacolo, prima produzione Elsinor 2025, sarà in scena al teatro Fontana di Milano fino al 26 novembre, poi in tournée al teatro Astra di Torino (9-14 dicembre), all’Arena del Sole di Bologna (18-19 dicembre), all’Eliseo di Nuoro (14 gennaio), al Kismet di Bari (24-25 gennaio) e al Bellini di Napoli (27 gennaio – 1 febbraio).

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Il Fatto Quotidiano

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