Dai primi passi sui set all’academy: così Luca Ward ha trovato la sua voce e insegna alle nuove generazioni a farlo
- Postato il 24 novembre 2025
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Romano doc, attore, doppiatore, direttore del doppiaggio, conduttore e figlio d’arte (papà Aleardo Ward e mamma Maria Teresa Di Carlo), Luca Ward è voce iconica di celebri personaggi hollywoodiani, oggi stampati nell’immaginario collettivo: dal Samuel L. Jackson in Pulp Fiction a Russell Crowe nel leggendario Massimo Decimo Meridio de Il gladiatore, passando per Pierce Brosman, Keanu Reeves, Gerard Butler, Hugh Grant e Antonio Banderas. Ward, insieme alla sorella Monica (anch’essa doppiatrice e nel corpo docenti con il fratello), è inoltre imprenditore nel settore della comunicazione con la Ward Lab – L’arte di comunicare, società che organizza seminari rivolti a chiunque sogni il mondo del teatro e del doppiaggio o che semplicemente voglia migliorarsi sotto uno degli aspetti più importanti del ventunesimo secolo: la capacità di saper parlare in pubblico. Gli ingredienti giusti per raggiungere questo obiettivo? Attitudine, studio, dedizione e desiderio di crescere tramite dizione, esercizi, metodo e conoscenza della lingua. Ne abbiamo parlato direttamente con lui.
Partiamo dall’inizio: quando ha deciso che nella sua carriera avrebbe lavorato con la voce? Come ha avuto inizio tutto?
Provengo da una famiglia del settore, di attori e doppiatori. Mia madre ha dovuto lasciare giovanissima, perché negli anni Sessanta rimanere incinta inficiava sulla carriera. Mio padre ha continuato, in teatro e anche nel doppiaggio. Capitava che all’epoca importanti registi gli chiedevano di me, poco più che infante, tant’è che feci le mie prime particine ad appena tre anni. Ma non bastava. Volevo contribuire economicamente alla famiglia e mi fermai per diverso tempo nel periodo dell’adolescenza. Feci un po’ tutto: facchino, bagnino, benzinaio, bibitaro all’autodromo di Vallellunga. In quel decennio sabbatico mi sono dato fare.
E poi il destino.
Destino che ha un’età per me: 19 anni. Ha un nome, Pino Locchi, la voce di Sean Connery. E un luogo, piazza del Popolo. All’epoca facevo il camionista. Ci incontrammo per caso con Pino al centro di Roma, ero tornato da un viaggio. Tra una chiacchiera e l’altra mi chiese cosa facessi e se ero disposto a collaborare con lui. Mi portò in questo enorme stabilimento in via Margutta, dove c’era un importante studio di doppiaggio. Non ero convinto a dire il vero. Alla fine decisi che provare non costava nulla. E oggi eccomi qua. Non ne sono più uscito.
Ci si nasce con questa dote?
Beh, è sicuro che devi avere un minimo di attitudine al mestiere, altrimenti non lo fai. È particolare, senza un talento innato, di base, il duro lavoro non basta. Un giusto mix tra le due.
I vari Spielberg, Ridley Scott, Guy Ritchie, Quentin Tarantino, vogliono materiale molto professionale, in grado di fare la differenza, altrimenti sei fuori. Anche perché tengono molto ai loro prodotti e soprattutto ai loro attori.
Cosa pensa del fatto di vedere i film fuori dagli Stati Uniti in lingua madre?
Che sarebbe bello, ma c’è da riempire i cinema. Ci hanno provato tanto a mandare delle copie in lingua madre, ma non sono passate, non passano. Si doppia in 60-70 paesi nel mondo, sistema che è in crescita anche in molti stati arabi. Il problema di fondo è il solito, condivisibile come concetto, ma irrealizzabile nella sostanza, poiché le major americane devono poi rientrare delle ingenti spese. Parliamo di milioni, e in taluni casi anche di miliardi di dollari. C’è anche poi da dire che ognuno oggi può vedersi i film come vuole, in qualsiasi formato o lingua, scaricabile tutto ormai.
Non solo doppiaggio. Dicevamo anche attore di cinema, tv e teatro. Il suo settore prediletto?
In verità mi trovo bene dappertutto. Specifichiamo, sono cose molto diverse tra loro. In teatro sei a diretto contatto con il pubblico, live, emozione ineguagliabile. La tv è un altro concetto, fatto di sceneggiature e ciack. Il doppiaggio invece è la mia vita. Sono sfumature e vibrazioni interiori differenti. Non so, faccio un esempio, io sono vent’anni che lavoro al Sistina, quando si apre quel sipario è qualcosa di magico, imparagonabile a qualsiasi altro lavoro, così come la grande soddisfazione dell’ultima puntata di Elisa di Rivombrosa con 20 milioni di spettatori, o anche sentirsi dire da Russell Crowe, dopo ogni concerto, “Luca la fa meglio di me”. Non saprei, tutto meraviglioso.
Ci parli ora dell’academy, la Ward Lab – L’arte di comunicare.
Full immersion di tre o quattro giorni, dove insegniamo anche a manager, politici, medici a comunicare sul palco, a parlare in pubblico. Perché è un’arte anche quella. Per quanto riguarda il doppiaggio, siamo una sorta di talent scout: capiamo chi di loro ha l’attitudine, e una volta individuati i soggetti con talento li indirizziamo, presentandoli a compagnie teatrali o varie produzioni. È il palcoscenico a formare l’attore. Giancarlo Giannini e Francesco Pannofino ne sono testimonianza.
Come sono organizzati i corsi?
Non li organizziamo a compartimenti stagni, ma misti. Possono essere in 5, in 10 o in 20, di età diverse. Poi c’è il one to one per il manager e i suoi più stretti collaboratori. Il tutto in qualsiasi parte d’Italia. Ward Lab necessita di spazi validi e strutture adeguate. Il corpo docenti è il nostro: ne facciamo parte io, mia sorella Monica e altri professionisti riconosciuti a livello internazionale. Formiamo in comunicazione i giovani (e non solo) che vorrebbero fare spettacolo o recitazione, così come gli imprenditori che vogliono migliorarsi in public speaking, proprietà di linguaggio, dizione e lessico. Un esperimento già rodato negli anni ‘70 e ’80: lo fecero Bettino Craxi e Giorgio Almirante, due grandi comunicatori, indipendentemente dai vessilli politici.
Progetti in corso e futuri?
Il talento di essere tutti e nessuno è uno show che da due anni portiamo nei teatri d’Italia. All’inizio parto io con un monologo, per poi coinvolgere il pubblico, che facciamo salire sui palchi. Doppiano, seduta stante, i grandi colossal proiettati sul grande schermo allestito in sala. Ripartiamo il 20 ottobre per tutto l’inverno, d’estate diventerà Il talento di essere tutti e nessuno 2.0. Decidono loro se vogliono prestare la voce (e quindi mettersi alla prova) con Via col vento piuttosto che con Il Gladiatore, con tanto di microfono, copione e scene. Deteniamo il record di standing ovation, con oltre 15 minuti ininterrotti.
Che ricordi ha mentre lavorava a Il Gladiatore?
Non belli. Stavo attraversando un momento difficile della mia vita, non lo volevo neanche fare quel film, e invece poi sappiamo come è andata. Non la chiudevo la celebre battuta ‘al mio segnale scatenate l’inferno’. Feci diventare pazza Fiamma Izzo, direttrice e dialoghista. Quelle parole, per altro, erano una sua idea. L’ho ripetuta 30 volte. Al controllo doppiaggio, Renato Izzo mi chiamò al telefono. C’era da rifarla. Chiusa stavolta. Non lo vidi per molto tempo il film. In fase di doppiaggio, senza le musiche e decontestualizzato, è un altro mondo. Poi, una sera a Verona, mi sedetti e capii stupefatto di quale capolavoro Ridley Scott ci avesse arricchito.
Pierce Brosman, lo stesso Crowe, Samuel L. Jackson, Keanu Reeves, Gerard Butler, Hugh Grant, Antonio
Banderas. A quali di questi è più affezionato?
Ricordo il terrore per Jackson, con Pulp Fiction, che era difficilissimo da doppiare. Lina Wertmuller all’Adriano si alzò per plaudirci, e non era proprio magnanima con i doppiatori. Tutti mi hanno dato, alla stessa maniera, ma diversamente. Russell, Gerald Butler, Grant mi hanno scelto, in fase di provini, li ho poi incontrati diverse volte alle prime italiane, e chiaramente si sono soffermati ribadendo la loro stima. Tuttavia non posso dire che l’uno sia meglio dell’altro o che io sia più affezionato a qualcuno in particolare. Fare Samuel L. Jackson o Hugh Grant sono due cose completamente opposte. Anime, menti e stili agli antipodi, ma accomunati dall’essere veri e indiscussi professionisti della settima arte.
L’articolo Dai primi passi sui set all’academy: così Luca Ward ha trovato la sua voce e insegna alle nuove generazioni a farlo è tratto da Forbes Italia.